Nella stanza dell’imperatore – Sonia Aggio

Nella stanza dell’imperatore – Sonia Aggio – Fazi Editore

Recensione a cura di Valeria Lorusso

Nella stanza dell’imperatore. «Costantinopoli è la madre prima tradita, poi persa e infine dimenticata dall’Europa. Sonia Aggio ce ne restituisce il volto e la storia con cura e amore in un romanzo al contempo delicato e vigoroso». Paolo Malaguti Giovanni Zimisce, cresciuto con gli zii materni, i Foca, e` diventato con il tempo un valoroso condottiero e combatte con coraggio per l’Impero bizantino accanto a Niceforo, il generale piu` brillante della sua epoca, e a Leone Foca. La guerra e` tutto cio` che gli rimane: sua moglie e` morta di parto e i parenti del padre, i Curcuas, lo considerano un traditore. Quando ormai sembra che Giovanni non abbia piu` altro scopo se non combattere al fianco dei Foca, tre streghe gli profetizzano che diventera` imperatore. Ma come e` possibile, visto che sul trono ora siede Niceforo, il suo mentore, l’uomo che l’ha cresciuto e per cui darebbe la vita? Quando proprio Niceforo gli voltera` le spalle e l’affascinante Teofano bussera` alla sua porta, Zimisce dovra` decidere che cosa fare in futuro: restare fedele all’imperatore, assecondando i principi con cui e` cresciuto, o prenderne il posto, accettando definitivamente il suo destino? Guerre, omicidi, congiure e tradimenti: dopo l’esordio con Magnificat, Sonia Aggio torna in libreria con un romanzo avvincente e denso di colpi di scena, ripercorrendo le vicende di un uomo straordinario che, partendo da semplice soldato, riusci` a cambiare le sorti del suo Impero conquistando inaspettatamente la corona. In questo libro, con grande talento e accuratezza, l’autrice ricostruisce la parabola esistenziale di Giovanni Zimisce attraverso il racconto epico della sua ascesa al trono, descrivendo la realta` quotidiana di una delle dominazioni piu` estese che il mondo abbia mai conosciuto. Un romanzo storico impeccabile, dal sapore di un classico che, con una trama ricca di intrecci, intrighi, amori e terribili inganni, e uno stile coinvolgente e ricercato, ci conduce tra le scintillanti stanze dei palazzi imperiali e i loro splendidi giardini, mostrandoci il volto segreto delle citta` d’Oriente. Luce e buio si alternano sul suo volto mentre lei si allontana, più gatto che donna, sguardo bramoso e distante. «La prima volta non eri pronto ad ascoltare, vero? Ma oggi lo sei. Sei pronto, Zimisce. Il tuo destino ti attende».

RECENSIONE

Il romanzo di Sonia Aggio, candidato al premio Strega (pochi giorni fa sono stati rivelati i nomi dei dodici finalisti), racconta le gesta di Giovanni Zimisce che fu basileus dei romei dall’undici dicembre 969 fino alla sua morte. 

Nelle stanza dell’imperatore parte dalla sua infanzia e lo segue durante la sua crescita fino all’età adulta. Fu un valente condottiero e le sue imprese, come quelle contro Svjatoslav I di Kiev, appartengono alla storia militare bizantina. 

Succedette a Niceforo II Foca dopo averlo assassinato grazie anche alla complicità di Teofano sua moglie, la basilissa che era diventata l’amante di Zimisce.

L’hai fatto per intrappolarmi, perchè avevi paura di non riuscire a convincermi, Ma la trappola si è ritorta contro di te, vero? Adesso io sono l’imperatore, e mentre discutiiamo la gente maledice il tuo nome: ti considera la vera colpevole”. Riflette su ciò che sta per dire: mi hai costretto ad assumere questo ruolo. Accettane le conseguenze”.

Il patriarca Polieucte lo costringe a mandare in esilio Teofano e chiede altre concessioni che gli vengono date, così Zimisce ottiene l’appoggio del patriarca e può essere incoronato imperatore.

Interessante è notare come Nella stanza dell’imperatore si alternano le vicende storico-politiche che seguono la progressione della carriera militare di Giovanni Zimisce con il rilievo agli stati d’animo, alle aspettative di coloro che vissero in quel periodo. Ciò che colpisce, infatti, è che l’autrice sia riuscita ad esprimere la mentalità dell’epoca. 

Giovanni Zimisce

Un altro aspetto affascinante è la presenza di tre donne che scandiscono la sua vita predicendogli l’avvenire.

Salve Zimisce, tu che sarai domestikos d’Oriente. Salve, tu che un giorno sarai basileus ton romaion. Zimisce si ferma e distende il biglietto. Anche se le parole sono invisibili, non importa. Le ha imparate a memoria. La sua strada condurrebbe a quello. Un grado alla volta fino alla carica di domestikos.”

Queste tre donne mi hanno fatto pensare al ruolo del coro nelle tragedie greche, che anticipa quello che accadrà. Sono figure sospese tra il magico e l’onirico, un po’ tutto il romanzo è pervaso dall’alternanza tra realtà e sogno, tra riflessione ed azione, 

La parte riguardante le battaglie è descritta dettagliatamente, ma tutta la vita di Giovanni Zimisce è raccontata in modo avvincente, ci sono intrighi, congiure, tradimenti, tutti elementi che contribuiscono a tenere desta l’attenzione.

Affascinante e complessa la storia bizantina andrebbe approfondita e le donne ebbero una parte determinante, come nel caso di Teofano, donna bellissima, ma sicuramente infida e ambiziosa.

Sono stanca Zimisce. dice guardandolo negli occhi. Sono stanca della vita che sto conducendo. Ho rispettato mio marito per 6 anni, e l’ultima volta in cui ho riso e sono stata felice è stato durante quel banchetto a Cesarea. Sono stanca e sono arrabbiata. E voglio te perchè tu puoi condividere la mia stessa rabbia.

Con uno stile elegante e dimostrando una notevole padronanza della materia storica, Sonia Aggio ha confezionato un romanzo letterario, a tratti epico, che fornisce un ritratto verosimile di Giovanni Zimisce e di coloro che gli furono vicini.

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Caterina d’Aragona – Cristina Penco

Caterina d’Aragona – Cristina Penco – Diarkos

Recensione a cura di Valeria Lorusso

Caterina d’Aragona. È passata alla storia come la regina ripudiata, Caterina d’Aragona, la moglie ferita che, anche di fronte alle umiliazioni e al rifiuto del marito Enrico VIII, re d’Inghilterra, mostrò fino all’ultimo grande dignità, virtù e incrollabile fede. La Trastámara, in realtà, fu molto di più, grazie a una personalità mite ma determinata, e alle sue doti naturali in fatto di leadership e diplomazia, che la resero una protagonista non passiva dei suoi tempi. Figlia dei sovrani cattolici Ferdinando II d’Aragona e Isabella I di Castiglia, prima donna in Europa a ricoprire, fin da giovanissima, l’incarico di ambasciatrice a corte, instancabile nella carità cristiana verso i poveri quanto capace di vincere sul campo di battaglia, Caterina si dovette fare largo dentro una società di uomini e scontrare con i loro giochi di potere, facendone emergere il ruolo essenziale e non scontato dell’elemento femminile. La sua vita rimarrà impigliata a quella di una giovane, bella e ambiziosa dama, Anna Bolena, e alle trame di palazzo del marito, tra la volontà di procacciarsi un erede maschio e lo scisma anglicano dalla Chiesa di Roma. Tra le sei mogli di Enrico VIII, rimase la preferita dai sudditi, che continuarono a rispettarla e ad amarla come una delle più illuminate sovrane della sua epoca.

RECENSIONE

Scrivere la recensione di una biografia è diverso rispetto a ciò che si scrive per un romanzo, ci sono però delle osservazioni che posso fare avendone lette alcune: ogni autore ha un suo stile, ce ne sono di più descrittive, particolareggiate ed avvincenti che si leggono come se fossero romanzi e altre più serie, da accademici che si leggono meno speditamente e che pur da amante della storia mi sono parse pesantucce.

La biografia della Penco su Caterina d’Aragona appartiene al primo tipo di “narrazione” e l’ho letta in pochi giorni con grande piacere ed interesse. Ho scoperto una figura di donna, oltre che regina, che pur nella mitezza dovuta alla buona educazione ricevuta, fu dotata di grande dignità, amata e apprezzata dal popolo, ambasciatrice in  un tempo storico in cui alle donne non era concesso molto in termini di emancipazione, una donna coraggiosa che fu sempre coerente con il suo modo di vedere la vita e il matrimonio e che a causa delle sue idee pagò un prezzo elevato.

L’autrice ha saputo costruire una biografia che parte dall’infanzia di Caterina permettendoci di conoscere meglio la Spagna e chi furono i suoi genitori (Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia), due monarchi che traghettarono Il loro paese verso la modernità. Il quadro che ne esce  è quello di una famiglia unita, i genitori si amavano e dalla madre Caterina imparò molto sul comportamento da avere nei confronti del proprio sposo e in generale verso la propria nazione.

Enrico VIII Tudor

Calarsi nell’atmosfera del tempo aiuta anche a comprendere Caterina e la sua interiorità, la sua essenza. In questo percorso ci sono riferimenti alle vicende politiche europee in cui entrarono a far parte molti protagonisti di un periodo storico affascinante. Ripercorrendo brevemente la storia inglese dalla conquista normanna fino ad Enrico VIII Tudor il lettore ha la possibilità di conoscere e comprendere meglio quale fu l’Inghilterra che Caterina trovò al suo arrivo sul suolo inglese.

Chiunque non conosca nel dettaglio la storia tra lei ed Enrico potrà farsi un’idea personale e giungere alla propria opinione. Ho letto tutta la parte relativa alla validità del suo matrimonio con Enrico con attenzione e ho apprezzato il coraggio di una donna che ebbe sempre ragione ad affermare di essere l’unica moglie del re nonostante negli ultimi tempi del suo matrimonio venisse definita “principessa vedova”.

Non mancano parti riguardanti la Bolena che sto approfondendo ora con la lettura della sua biografia, sempre scritta dalla Penco. cenni sulle amanti del re Tudor e i figli illegittimi avuti da queste, un ritratto del cardinale Wolsey che per decenni fu il lord Cancelliere e che, praticamente, governava il paese poichè Enrico preferiva passare il suo tempo tra la caccia e la lettura.

Non mancano le citazioni di alcuni storici e stralci di alcune lettere inviate da Caterina al marito, molto interessanti per farsi un’idea ancora più precisa sulla personalità della sovrana. Al termine della biografia ci sono le considerazioni dell’autrice su Caterina, Enrico e una nutrita bibliografia a cui lei ha attinto le notizie e che può servire da approfondimento per chi volesse.

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Trattoria Mercuri – Laura Quagliarini

Trattoria Mercuri – Laura Quagliarini – Les Flaneurs

Recensione a cura di Valeria Lorusso

Trattoria Mercuri. Siamo a Roma, nella storica Trattoria Mercuri, luogo simbolico della memoria collettiva e della vita familiare. Qui il presente incontra un passato che si dipana attraverso la storia d’Italia, dalla presa di Porta Pia al secondo dopoguerra, grazie al racconto di due donne legate alla gestione della locanda: Fulvia, la madre di Maurizio, e Laura, la figlia di Maurizio, ultima della stirpe e per questo destinata a ricevere l’incarico di custodire e tramandare la memoria familiare. Le consapevolezze della nonna e le insicurezze adolescenziali della nipote si fondono in quel dolore che le unisce, la perdita di Maurizio: Fulvia cercherà di lasciarlo andare e Laura proverà ad accoglierlo in sé, come testimonianza di storie che altrimenti sarebbero destinate all’oblio. Trattoria Mercuri è un romanzo d’esordio maturo e delicato, che, partendo dalla narrazione di un’esperienza familiare, richiama un vissuto universale, in cui ogni lettore può rispecchiarsi. In un perenne moto oscillatorio fra dolore e speranza, scopriremo che la cura del passato può assumere il valore della rinascita, oltre che della crescita individuale e generazionale.

RECENSIONE

Siamo a Roma e l’azione parte dalla presa di Porta Pia per giungere agli anni 80 del nostro Novecento. La storia si sviluppa seguendo due donne: Fulvia e Laura, rispettivamente nonna e nipote e a far da trait d’union c’è appunto la Trattoria Mercuri, appartenuta e gestita dalla famiglia per diversi anni, In questo luogo di lavoro, ma non solo, i protagonisti di questa saga familiare vivranno gioie e dolori, si trasformeranno  man mano che la società cambia sentendosi partecipi di ciò che li circonda.

Il forte legame che si instaura tra Fulvia e Laura è ciò che rende speciale questa storia familiare, non si può non partecipare empaticamente all’affetto che entrambe nutrono una verso l’altra.

E’ il racconto dolce e delicato si di una famiglia, ma anche di un paese e la sua storia. Potrebbe essere la vita di qualsiasi famiglia che sia nata e vissuta in quel periodo, quindi tutti vi ci possiamo riconoscere.

Alla fine aveva accettato di raccontarmi le storie con più particolari, Io prendevo appunti, lei mi disegnava le mappe delle case dove era vissuta, Era diventato un gioco e io andavo scoprendo non solo la vita di nonna ma anche quella storia che avevo letto sui libri. Tutto mi sembrava improvvisamente più vicino: le guerre mondiali, il fascismo, la repubblica. Non erano più avvenimenti e date, erano la memoria di chi quel periodo storico lo aveva vissuto, una testimonianza diretta.

Pur alternandosi nella narrazione, oltre Fulvia e Laura, oserei definire il romanzo corale perchè ognuno dei personaggi ha un proprio ruolo e spazio, tutti sono funzionali rispetto agli avvenimenti narrati. Dai capostipiti Francesco e Stafanina ai rappresentanti più giovani quello che traspare è il grande affetto che li unisce tutti profondamente e che non si esaurisce nonostante gli inevitabili conflitti  che caratterizzano tutte le famiglie.

Risero, complici, Per la prima volta si sentirono fratelli e mentre il sole si preparava a una nuova notte si strinsero le meni guardando l’orizzonte.

Stazione Trastevere anni 60

Laura che non ha conosciuto il padre grazie a Fulvia riesce a ricostruire la sua vita e inizia a “viverlo”, a sentirlo più vicino, sa che riscoprire le sue radici potrà servirle per affondare le proprie certezze, per renderla parte insostituibile della vita di Fulvia che grazie a lei rinasce alla vita.

Assomigliavi così tanto a tuo padre che per un momento mi sembrò di aver partorito io e di essere in quella casa ventisette anni prima. In fondo non era cambiato molto da allora, In un certo senso mi hai salvata. Mi hai dato una speranza, una motivazione per continuare a vivere, Tu sei l’eredità vivente di Maurizio, il suo testimone. E io ti amo esattemente come ho amato lui.

Non manca il conflitto tra Laura e la madre, una donna incapace di assumersi le responsabilità per i fallimenti e le delusioni della sua vita, preferendo scaricarle sugli altri. Sulla figlia opera un iper controllo per tutto ciò che la riguarda dagli aspetti più importanti a quelli meno- E’ una figura un po’ controversa, che, forse, nasconde dietro questa facciata una personalità fragile.

Infine mi è piaciuto molto ritrovare durante il percorso narrativo la mia giovinezza, tutte le notizie riportate dagli anni 70 in poi le ho vissute in prima persona e ricordo con precisione esattamente le stesse sensazioni descritte. Ritornare indietro e rivivere la tua giovinezza ti porta a delle domande, per alcune la risposta è stata già scritta, per altre ancora no. E’ questo il grande potere dei ricordi.

Complimenti all’autrice per il suo esordio, lo stile limpido e la narrazione gradevole. Attendiamo la conferma.

/ 5
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La portalettere – Francesca Giannone

La portalettere – Francesca Giannone – Nord

Recensione a cura di Massimiliano Mascalzi

La portalettere. «Francesca Giannone ci porta dentro un grande romanzo storico e di formazione, intessuto con maturità e sapienza, che parla a ognuno di noi nel modo in cui un frammento di vita contiene e può restituire il cosmo intero.» Io Donna «Giannone raccoglie i cocci di una vita attraversando trent’anni di memoria personale e storica, con caparbietà e delicatezza.» la Repubblica «La portalettere nasconde un’anima forte, quella delle storie marginali e salvate.» Tuttolibri – La Stampa – Nadia Terranova Salento, giugno 1934. A Lizzanello, un paesino di poche migliaia di anime, una corriera si ferma nella piazza principale. Ne scende una coppia: lui, Carlo, è un figlio del Sud, ed è felice di essere tornato a casa; lei, Anna, sua moglie, è bella come una statua greca, ma triste e preoccupata: quale vita la attende in quella terra sconosciuta? Persino a trent’anni da quel giorno, Anna rimarrà per tutti «la forestiera», quella venuta dal Nord, quella diversa, che non va in chiesa, che dice sempre quello che pensa. E Anna, fiera e spigolosa, non si piegherà mai alle leggi non scritte che imprigionano le donne del Sud. Ci riuscirà anche grazie all’amore che la lega al marito, un amore la cui forza sarà dolorosamente chiara al fratello maggiore di Carlo, Antonio, che si è innamorato di Anna nell’istante in cui l’ha vista. Poi, nel 1935, Anna fa qualcosa di davvero rivoluzionario: si presenta a un concorso delle Poste, lo vince e diventa la prima portalettere di Lizzanello. La notizia fa storcere il naso alle donne e suscita risatine di scherno negli uomini. «Non durerà», maligna qualcuno. E invece, per oltre vent’anni, Anna diventerà il filo invisibile che unisce gli abitanti del paese. Prima a piedi e poi in bicicletta, consegnerà le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, le missive degli amanti segreti. Senza volerlo – ma soprattutto senza che il paese lo voglia – la portalettere cambierà molte cose, a Lizzanello. Quella di Anna è la storia di una donna che ha voluto vivere la propria vita senza condizionamenti, ma è anche la storia della famiglia Greco e di Lizzanello, dagli anni ’30 fino agli anni ’50, passando per una guerra mondiale e per le istanze femministe. Ed è la storia di due fratelli inseparabili, destinati ad amare la stessa donna.

 

RECENSIONE

“Era convinta che l’amore non avesse bisogno di troppe stanze né di camere da chiudere a chiave. Lo spazio fisico, quand’è troppo, aumenta anche la distanza tra i cuori: quando mai le principesse vivono felici nei castelli?”

Intendiamoci carino è carino, si legge d’un fiato, commuove il giusto, e parla d’amore non sconfinando nel melodrammatico, c’è persino un mix ben dosato fra personaggi simpatici e altri cui passeresti sopra col trattore (in grande amicizia sia chiaro).
Insomma si può leggere, in giro c’è anche di peggio senza entrare nei particolari, le note positive non mancano soprattutto se lo si approccia senza aspettative eccessive, io poi, figuriamoci, mi attendevo qualcosa ad alto tasso glicemico, una trama del tipo “la postina della Val Gardena bacia solo con la luna piena, uno a te, uno a me, yuke-lì yuke-lì oilè”, in fondo mi è andata di lusso.

Dietro questo romanzo c’è invece una storia che parte addirittura dal Covid, l’autrice in cassa integrazione rovistando in un cassetto scova un biglietto da visita della bisnonna portalettere nel Salento degli anni trenta (oddio i postini che girano col biglietto da visita francamente mi suonano strani pure oggi) e ha l’illuminazione… d’altronde che cos’è il genio se non, come argomentava il Melandri in Amici miei, fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione?
E quindi nasce La portalettere ovvero un romanzo storico che si svolge a cavallo della guerra (tra il 1930 e il 1961) ma non fa menzione della guerra.

Si perché la storia s’interrompe nel 1938 e riprende nell’aprile del 1945, come l’albo d’oro del Giro d’Italia praticamente, ma la cosa assurda è che i personaggi non sono stati minimamente scalfiti dal conflitto e li ritroviamo alle prese con la loro vita di sempre manco per sette anni avessero vissuto sotto la nuvoletta di Fantozzi.
In questi sette anni nessuno è partito per il fronte, nessuna ha fatto l’infermiera volontaria, non si parla di occupazione, bombardamenti, liberazione, di referendum tra monarchia e repubblica, elezioni del 48, piano Marshall, insomma il Salento sembra una vera e propria enclave ma di cosa non si sa.

La portalettere

Che uno potrebbe chiedere ma la sospensione d’incredulità dove me la metti? Assolutamente ma se mi fanno sparire da sotto gli occhi la seconda guerra mondiale senza neppure pronunciare sim sala bim come il mago Silvan potrò essere un tantinello inc….to alla maniera del Marchese del Grillo contro Aronne Piperno?

“Dai, Anna – disse Carlo ridacchiando – Non è un lavoro da donne. Cosa ci sarebbe di non adatto a una donna? – ribatté lei piccata. – È faticoso», rispose lui. – In giro tutto il giorno con la pioggia e con il sole. Ci perderesti la salute. Non esistono portalettere donna – Finora – disse Anna.”

Comunque se uno riesce a farsene una ragione di certe lacune, siano anche volute, la lettura risulta gradevole, probabilmente è presente anche un significato morale sebbene, a parer mio, non è tanto quello voluto dall’autrice (l’emancipazione femminile ai livelli descritti nel romanzo in quegli anni e nel Salento, beh insomma è difficile anche solo immaginarla) quanto uno probabilmente più banale ovvero la menzogna, sotto qualunque veste si presenti, non paga mai.
Soprattutto l’amore basato sul non detto, i segreti portati nella tomba, le verità nascoste e negate pure davanti alle evidenze, non conducono mai a nulla di buono.

“Be’, ti confesso una cosa: in questi anni di silenzio tra noi, ho continuato a sottolineare ogni libro che ho letto, e a scrivere a lato le mie note per te, anche se sapevo che non le avresti mai più lette.”

Al di là della mia personale valutazione la sensazione è di un prodotto magari non studiato a tavolino ma comunque cercato e voluto da una casa editrice che è la stessa dei Leoni di Sicilia e di altre opere di buon successo e della medesima cifra stilistica.
Tuttavia rispetto ai due lavori di Stefania Auci  la parte romanzata risulta assai più accentuata, le vicende della famiglia Greco (su cui ovviamente si conosce molto meno dei Florio) sono state, per ammissione della stessa Giannone, ampiamente rimaneggiate e modificate per esigenze narrative.
Insomma romanzo storico si ma largo spazio alla fantasia dell’autrice che peraltro non esclude il ritorno (un po’ alla Califano) dei protagonisti senza specificare in quale veste (prequel, sequel o quant’altro).
D’altronde ogni epoca ha i suoi mali necessari, la nostra ha le trilogie letterarie e soprattutto gli adattamenti televisivi (pare che i diritti tv de La portalettere risultino già aggiudicati dopo aste piuttosto combattute).
Attendiamo quindi con moderata fiducia l’ineluttabile approdo sugli schermi delle avventure della portalettere.

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La strada di casa – Vincenzo Elviretti

La strada di casa – Vincenzo Elviretti – Catartica Edizioni

Recensione a cura di Daniele Tomatis

La strada di casa. Negli anni ’90, una festa di compleanno finita male e un bad trip segnano Mimì e Cecio nella ricerca della propria strada. Mentre Mimì si adatta alle mostruosità della normalità, Cecio cerca qualcosa di più profondo. Le imprevedibilità della vita cambiano prospettive, portando Cecio a scoprire che la vera ricerca è interna. Mimì trova il coraggio di reagire solo dopo un evento accidentale. Il romanzo esplora crescita, identità e coraggio dei protagonisti, attraverso le paure e le incertezze a cavallo dei due millenni, con lo sfondo della repressione generazionale di Genova del 2001, la rivoluzione tecnologica di internet e degli smartphone e l’avvento dei social network.

 

RECENSIONE

<<La stanchezza fa strani effetti ragazzi, non è vero che non ti fa pensare a niente e solo chi non fa un cazzo dalla mattina ala sera ha troppo tempo per pensare ed essere preda di rimorsi e rimpianti. Stanchezza a volte fa rima con amarezza.>>)

La storia comincia con alcuni ragazzi facenti  parte dello stesso gruppo.  Uno di loro. Mimì, ha organizzato una festa di compleanno a cui  partecipano solo loro . Dopo questa festa deludente decidono di andare a fare un’escursione con i loro motorini ma, questa giornata iniziata male finirà peggio, segnando di fatto l’inizio della separazione delle loro strade.
Alcune di queste strade  si percorreranno durante il romanzo, questi ragazzi superata l’adolescenza affrontaranno la vita adulta con tutti i suoi problemi e sfide.
Cosa ne sarà di loro? Solo leggendo il romanzo lo sapremo.
I personaggi sono dei normali adolescenti che cercano di divertirsi insieme, hanno a che fare con alcune problematiche adolescenziali come il bullismo ed ogni personaggio è ben delineato, all’inizio del romanzo, con i suoi pregi e difetti. La strada di casa

Critica società moderna
Nel romanzo un tema che è stato toccato e che ho sentito molto presente è quello del mal di vivere, una sorta di rassegnazione mista a delusione per la vita che viviamo
che macigno sullo stomaco questo vivere
 ma vi è anche una critica alla società moderna 
<< Ci hanno tolto la capacità di sorprenderci. Sappiamo già tutto, di come andranno a finire le cose, in anticipo. Non c’è nulla dinuovo che ci possa capitare. E, così, si è già vecchi nonostante i nostri venti o trent’anni>>. 
Lo stile dell’autore rende la lettura piacevole e scorrevole e riesce a toccare temi molto attuali senza renderli pesanti. Sicuramente una buona lettura con ottimi spunti di riflessione.
 

/ 5
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La brigante – Daniela Piazza

La brigante – Daniela Piazza – Altrevoci Edizioni

Recensione a cura di Valeria Lorusso

La brigante. Egitto, 1249. La settima Crociata, iniziata nel migliore dei modi con la presa della città di Damietta, si trasforma in un logorante stallo che mette a dura prova l’armata cristiana, in attesa di rinforzi e rifornimenti. Francesco Fieschi e alcuni compagni assaltano una carovana diretta in città fingendosi briganti, a caccia di ricchezze. Durante l’attacco Francesco incappa in un vecchio moribondo che, credendolo un altro, con le ultime forze lo implora di mettere in salvo un misterioso tesoro. Da quel momento per lui non c’è pace. Chi è la persona a lui così somigliante? Ed esiste veramente un tesoro? Neppure la furia della guerra metterà fine alle sue ossessioni. Intanto in Francia sua moglie Matelda de la Rocheblanche, dopo i gravi eventi accaduti, è stata chiusa in convento. Ma una notte il richiamo della libertà si fa sentire imperioso: scappa, iniziando la sua nuova vita da fuggiasca che le porterà momenti di terrore ma anche nuove, sorprendenti, opportunità. Le esistenze di Matelda e Francesco sembrano essersi definitivamente separate, ma fino a che punto i due riusciranno a ingannare il destino?

RECENSIONE

Siamo in Egitto nel1249, la settima crociata che si è aperta con la conquista di Damietta si trasforma in una stasi che mette a dura prova l’armata cristiana. Francesco Fieschi e i suoi compagni assaltano una carovana fingendosi briganti per andare a caccia di ricchezze.

Cavalli e cammelli! Un’altra carovana! Questa si che poteva essere una fortuna, se confermata! Le carovane di mercanti erano diventate ormai l’unica possibile sorgente di denaro. 

In questo attacco Fieschi incappa in un vecchio mercante che, ormai in fin di vita, lo scambia per suo figlio e gli parla di un tesoro. Da quel momento Fieschi si porrà degli interrogativi, ossia chi è questa persona che gli assomiglia così tanto e dov’è il tesoro. Non si darà pace neanche con la guerra in atto. La brigante

Nel frattempo la moglie di Francesco, Matilda de la Rocheblanche, dopo la morte del figlio è chiusa in convento. Ma il richiamo della vita si fa sentire e decide di fuggire iniziando una vita da fuggitiva. Si nasconde a Parigi dove si imbatte casualmente in un piccolo ladruncolo: Martin. La vita le ha donato una seconda possibilità dopo la perdita del figlio e Matelda fa di tutto per non perdere questo nuovo figlio. Cosa accadrà ai due protagonisti che in questo secondo capitolo si sfiorano senza incontrarsi

Questo secondo capitolo scaturisce dalla rielaborazione in forma di trilogia di un racconto creato per un progetto scolastico sul Romanico in Liguria. Da dover essere  un romanzo ambientato in questa regione le vicende si spostano in Francia e in Egitto (sede della settima Crociata): 

Settima Crociata

Francesco Fieschi e Filippo Grimaldi si ritrovano in Egitto scortati dai rispettivi scudieri, la loro amicizia sarà sempre salda ma, vuoi la stanchezza, la fame e la guerra qualcosa non sarà più come prima, forse Filippo ha dei sensi di colpa per quanto accaduto con Matelda.

Matelda subisce una profonda trasformazione che rende il suo personaggio ancora più interessante rispetto al primo capitolo. Una donna che va incontro ad una vita nuova, che si affeziona a un bambino per il quale lottare. Ecco è proprio questo scopo di vita a rendere il personaggio più affascinante.

Dopo qualche giorno di paziente accudimento, in cui Matelda gli aveva fatto scivolare tra le labbra ostinatamente chiuse gocce di acqua e miele e di latte, finalmente il piccolo aveva riaperto gli occhi e il suo sguardo, appena era stato in grado di riconoscere ciò che gli stava intorno, si era illuminato, Le sue prime parole, poco più di un bisbiglio ma perfettamente intellegibili, erano state piene di gratitudine e di infinita fiducia: <Maman! Lo sapevo che saresti venuta a liberarmi!>.

 

Ci sono molte descrizioni di scene di battaglie, di assedi, di scontri corpo a corpo. La Crociata viene raccontata delineando le dinamiche di un esercito composto da uomini spregiudicati che  prendono le decisioni senza valutare rischi e vantaggi, a spregio della vita delle proprie milizie, 

A queste pagine che costituiscono la parte più cospicua,

Lo scontro fu meno efficace del previsto, ma un buon numero di nemici cadde comunque. Si passò immediatamente al corpo a corpo con mazze e spade; nel frattempo stava arrivando la fanteria, e la baraonda fu subito bestiale, qualcosa di ben diverso dallo scontro seguito allo sbarco a Damietta,  allora c’era stata una serie ordinata di spostamenti, di mosse e contromosse, in cui era ben chiaro l’andamento della battaglia.

si alternano le vicende di Matelda che alleggeriscono il racconto delle guerre. La brigante

Il ritmo narrativo si svolge con continuità e fluidità, la trama si dipana linearmente lungo tutto il racconto, i dialoghi piuttosto diretti rendono più incisiva la narrazione e i personaggi seppur immersi in contesti complicati riescono a trovare la propria via.

Non ci resta che aspettare il terzo capitolo per vedere come Francesco e Matelda si ritroveranno e quali saranno le vicende che porteranno alla conclusione di questa storia.

/ 5
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La regina senza trono – Ornella Albanese

La regina senza trono – Ornella Albanese – Mondadori

Recensione a cura di Valeria Lorusso

La regina senza trono. 495 d.C. Il suo stesso nome ne evoca la forza. Amalasunta: la forte Amala. Lo ha deciso sua madre, per lenire la frustrazione del grande Teoderico, re degli Ostrogoti: una figlia forte e sana come il maschio che non è arrivato. E Amalasunta non delude le aspettative, crescendo fiera e determinata. Dal padre, grande guerriero e stratega che ha riunito sotto di sé tutto il suolo italico, acquisisce l’ardimento e il valore ma anche l’amore per la cultura. Studia gli autori greci e latini, disserta di filosofia e teologia, trascurando invece le arti femminili, a cui preferisce le uscite a cavallo e le battute di caccia in compagnia del suo schiavo Traguilano. Il giorno in cui Teoderico la conduce con sé nella chiesa di Santa Croce a Ravenna, gli splendidi mosaici che la rivestono le annunciano il futuro. Presto, per volere del padre e per mano di maestri bizantini, altre pietre daranno testimonianza della grandezza del regno; Amalasunta, però, è consapevole che non potrà mai fare ammenda del suo errore più grande: essere nata femmina. Anche se su quei muri troverà posto il suo ritratto, quando siederà in trono non sarà per regnare ma per stare accanto a un uomo scelto da altri come suo marito e sovrano. La libertà è però un sogno a cui Amalasunta non intende rinunciare. La libertà di decidere il proprio futuro, di scegliere ciò che è bene per il suo popolo. La libertà di amare qualcuno che non è degno del sangue regale ma ha fatto breccia nel suo cuore, perché ha saputo riconoscere nello spirito indomito di una donna il coraggio di pretendere ciò che le spetta. In un racconto serrato e avvincente, rivive una figura di grande fascino e modernità.

RECENSIONE

Leggere questo romanzo su Amalasunta è stato un modo per conoscere una figura femminile poco nota della storia e sulla quale ci sono poche notizie, per lo più frammentarie e lacunose, così Albanese ha dovuto sopperire con la fantasia alle “mancanze” storiche.

La regina senza trono è la storia di Amalasunta, l’autrice parte dall’uccisione di Odoacre per mano di Teoderico secondo quanto riportato dalla leggenda e prosegue con il suo matrimonio e la nascita di Amalasunta, La narrazione prosegue raccontando l’infanzia, l’adolescenza e la maturità, il primo matrimonio, la perdita del padre, il secondo matrimonio e la perdita del figlio. Questi furono i momenti salienti della sua vita a cui vanno aggiunti gli aspetti più propriamente di fantasia che con estremo equilibrio e verosimiglianza rendono la lettura estremamente gradevole.

Amalasunta, una donna forte e volitiva, capace di piegarsi ma non di spezzarsi, amante del sapere e della conoscenza:

La conoscenza è un’arma, Traguilano, al pari della spada, Nessuno può ingannarti e prendersi gioco di te, se possiedi la conoscenza. I libri spalancano mondi inesplorati che ti piacerà conoscere. Vivrai mille vite diverse dalla tua. Viaggerai ovunque, conoscerai popoli stranieri e le loro civiltà. Esplorerai l’intero mondo, Ti diventerà facile capire i complicati ragionamenti dei filosofi. E poi potrai conversare con me e non essere solo uno schiavo a cui non è richiesto pensare. Saper leggere renderà liberi i tuoi pensieri.

Amalasunta

Senza dubbio una figura carismatica, una donna appassionata e purtroppo sfortunata nella sfera personale. Ebbe due mariti:  Eutarico e Teodato, il primo un uomo crudele che la trattò peggio di una serva e il secondo un subdolo manipolatore, un uomo avido e astuto politicamente che la distrusse.

Ho scoperto quindi una figura di donna che nei suoi immensi dolori fu capace di reagire per il bene del regno tenendo presenti gli insegnamenti del padre:

Non doveva arrendersi, Era quella la regola della sua gente. Non era stato il primo insegnamento che il grande Teoderico le aveva impartito, quando era ancora una bambina? Ricarda che sei figlia di un re. La figlia di un re non si arrende mai, ancor di più se è figlia di un re ostrogoto.

La figura di Teoderico fa da contraltare per quasi tutta la lunghezza del romanzo, mi è piaciuto il ritratto che ne fa Albanese, un uomo capace di creare equilibrio tra Goti e Latini, di far prosperare il regno distribuendo le ricchezze:

Sono stato un buon re, Amalasunta. Un re generoso, Ho distribuito ricchezza, ho premiato sempre l’integrità dei dignitari. Ho lusingato in ogni modo i Latini prendendo anche le loro parti contro la protervia  della mia gente

Un uomo che si erge maestoso e al quale questo romanzo rende giustizia.

Interessanti anche le piccole parti che riguardano il mosaico e le tecniche con cui venivano apposte le tessere sfaccettate creando dei mirabolanti giochi di luce.

Come sempre mi sono crogiolata nella lettura delle note finali con cui l’autrice spiega come ha impostato la trama del romanzo e ho notato una scrittura sicuramente più matura rispetto ai suoi lavori precedenti.

  • PRO___________giusto equilibrio tra storia e fantasia
  • CONTRO_______nulla da dichiarare
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La gabbia degli struzzi- Alvaro Cherici

La gabbia degli struzzi – Alvaro Cherici – DDE Editrice

Recensione a  cura di Valeria Lorusso

La gabbia degli struzzi. Una storia d’amore affogata nel tradimento, la realtà chiusa di un paesino di provincia e uno spasmodico desiderio di ricchezza: questi gli ingredienti dell’ultimo racconto breve di Alvaro Cherici. Una storia dove l’amore, benché sempre protagonista, lascia il passo all’ambizione e all’egoismo. A farne ingenuamente le spese è un nuovo personaggio, Luigi, vecchio compagno di liceo di Massimo Alberti, anche lui bancario e donnaiolo. Il “fattaccio” avviene in un paesino della Tuscia ma le indagini, condotte dai carabinieri del posto, non portano a nulla. Toccherà ancora una volta al disincantato e schietto Vicequestore Franco Berruti scoprire la verità. Una verità squallida, meschina, come se ne sentono tante. In linea con gli altri tre precedenti racconti, anche ne “La gabbia degli struzzi” prevale, nel bene e nel male, una prospettiva al femminile, anche se non proprio a “tinte rosa”, in una storia dove sono sempre i sentimenti a guidare l’azione e, come schegge impazzite, possono prendere qualsiasi direzione ma che, a posteriori, lasciano sempre delle tracce.

RECENSIONE

La gabbia degli struzzi è il quarto racconto che leggo di Cherici e stavolta i nostri beniamini, Massimo e Giorgia, fanno una breve comparsa per lasciare il campo libero a Luigi ex compagno di scuola di Massimo e anche lui funzionario di banca:

Massimo Alberti, lo sciupafemmine della sezione F! Che piacere rivederti! Si abbracciarono come vecchi amici che si rivedono dopo tanto tempo, dagli anni del liceo, dei cortei di protesta, delle scorribande in cerca di ragazze da rimorchiare, delle partitelle a pallone in campi di terra dura e con le porte fatte coi cappotti ammucchiati o i libri legati con l’elastico

Anche in questo episodio ci sarà un morto e un’omicida da scoprire, sarà proprio Luigi ad avere la giusta illuminazione che porterà allo scioglimento del giallo. 

Posso affermare senza dubbio alcuno che questo quarto racconto è quello che mi è piaciuto maggiormente, intendiamoci non è che i precedenti non fossero buoni, tutt’altro, ma in questo ho ravvisato una maggiore sicurezza e padronanza della storia e dei personaggi, una maturità che porta a un rapporto migliore con la scrittura e questo potrà solo rendere più intriganti i racconti che verranno. La scrittura richiede esercizio e solo grazie all’affinamento delle proprie capacità narrative che i racconti potranno solo migliorare e diventare sempre più intriganti.

Tuscia

La penna di Cherici riesce a maneggiare la matassa perfettamente imbrogliandola e poi sbrogliandola, creando una storia intrigante che tiene incollato alla pagina il lettore.

Questo esercizio di stile si nota anche nella caratterizzazione dei personaggi, sia Luigi che Alessandra, coprotagonista del racconto, sono tratteggiati con cura. Luigi mi ha ispirato subito simpatia, potrebbe appartenere alla generazione degli anni 80 quando ancora si rimorchiava alle feste:

E fu allora che la vide. Parlottava ridendo con due amiche, le gambe un po’ aperte…I capelli lisci le ricadevano sulle spalle e incorniciavano un bel viso ovale, un naso dritto e due occhi neri e lucenti”

è cresciuto con dei valori e ama le cose semplici, E’ un genere di uomo che molte donne vorrebbero frequentare, Alessandra invece ha un passato diverso, è bella, intraprendente e alla ricerca di una vita migliore. Una donna vendicativa:

Aveva ancora il “vaffanculo” di Luigi e la rabbia le stava tornando.

Buoni anche i flashbacks che riportando gli avvenimenti passati permettono di comprendere meglio il presente narrato.

La scrittura, come sempre, è molto scorrevole, capace di coinvolgere, l’unico neo la piccolissima presenza di Giorgia che è sempre stato un perno su cui giravano le storie precedenti, ma ben vengano le variazioni se il risultato non le fa rimpiangere.

/ 5
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Aquitania – Eva Garcia Saenz de Urturi

Aquitania – Eva Garcia Saenz de Urturi – Piemme

Recensione a cura di Valeria Lorusso

Aquitania. È il 1137 quando Eleonora, figlia del duca d’Aquitania, ritrova la propria voce. Il suo silenzio era iniziato cinque anni prima, il giorno in cui, ancora bambina, aveva subito un indicibile oltraggio. Ma ora non può più tacere: suo padre Guglielmo è stato assassinato a Compostela. Di lui non è rimasto che un corpo scempiato, la pelle di uno strano colore blu. E lei, a tredici anni, è la duchessa d’Aquitania, di quella terra prospera che le ha dato la vita ma che le toglierà tanto, persino il suo vero amore. Perché per Eleonora non c’è più tempo per pensare ai propri desideri. Ora la sua unica missione è vendicare l’assassinio del padre e, al tempo stesso, proteggere la sua terra dalle mire del re di Francia, Luigi VI. Convinta che dietro la morte di Guglielmo ci sia proprio il re, accetta di sposarne il figlio, il fragile Luigi VII, così da poter accedere a corte e, insieme alle sue fedeli spie, i “gatti aquitani”, indagare da una posizione privilegiata. Ma quando anche il sovrano francese muore in circostanze simili a quelle di suo padre, Eleonora capisce che dietro quegli omicidi c’è molto di più, una verità che arriva dal passato, da sempre custodita da una figura rimasta nell’ombra… Tra battaglie, passioni, vendette e segreti, la storia di una donna forgiata dalla sofferenza, protagonista di un secolo dalle cui ceneri sorgerà la futura Europa.

RECENSIONE

Ho avuto modo di approfondire la figura di Eleonora d’Aquitania negli ultimi mesi e ho apprezzato nello studio della sua figura delle caratteristiche che la resero unica e, sicuramente a detta degli storici, una delle donne più importanti del Medioevo, se non la più rilevante. 

In questo romanzo viene narrata una parte della sua vita, quella che va dalla morte del padre a dopo il ritorno dalla II Crociata. Durante la narrazione in cui la voce di Eleonora si alterna a quella del marito Luigi VII, viene raccontata la storia di un fanciullo che si scoprirà avere un ruolo di primo piano nella vicenda. 

Eleonora d’Aquitania

Infatti in questo romanzo alle vicende storiche note si alterna un giallo riguardante le morti di Guglielmo padre di Eleonora e di Luigi VI di Francia morti, secondo il romanzo, entrambi avvelenati. Queste due morti avranno un ruolo importante durante la narrazione e saranno il pretesto per conoscere e apprezzare ancora di più il carattere volitivo di Eleonora che unì al titolo di duchessa d’Aquitania e regina di Francia la capacità di comprendere che se voleva avere la giusta considerazione per il ruolo che occupava doveva fingersi sottomessa e muoversi abilmente usando le chiavi giuste.

Quindi una donna intelligente, colta, amante del lusso, che a Parigi si ritrova in una corte buia, fredda, povera e dovrà faticare per farsi accettare, non riuscendoci mai completamente. 

Luigi VII non eccelse certo come sovrano, un uomo dal carattere fragile, non portato per il governo del regno, aspirava ad una vita religiosa e di studio, si ritrovò suo malgrado a ricoprire un ruolo che non voleva, Nel romanzo l’autrice riesce a ricreare perfettamente il personaggio così come la storia ce lo tramanda senza abbellimenti per fini narrativi

La ricostruzione storica degli avvenimenti è precisa ed accurata sia per quanto riguarda la cronologia storica che per le descrizioni di quelli che erano gli usi e i costumi dell’epoca. Anche il “giallo” è così ben congegnato da risultare storicamente attendibile, tanto che mi sono chiesta se le cose non fossero andate davvero così.

Tra avvelenamenti, intrighi, vendette, l’attenzione rimane desta, soprattutto nella parte finale. Qualche rallentamento del ritmo lo si ha nella parte centrale della storia. Peccato che il romanzo riguardi solo una piccola parte della vita di Eleonora, mi sarebbe piaciuto scoprire come l’autrice avrebbe impostato la sua vita come regina d’Inghilterra.

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La donna della domenica – Fruttero & Lucentini

La donna della domenica – Fruttero & Lucentini – Mondadori

recensione a cura di Massimiliano Mascalzi

La donna della domenica. Torino, anni Settanta. Nel suo pied-à-terre viene ucciso l’architetto Garrone. Squallido personaggio che vive di espedienti ai margini della Torino bene, Garrone fa parte di una sorta di “teatrino privato” nel quale Anna Carla Dosio, la moglie di un ricco industriale, e Massimo Campi, giovane omosessuale della buona borghesia, stigmatizzano vizi, affettazioni e cattivo gusto dei loro conoscenti. Il commissario Santamaria si trova così a indagare tra l’ipocrisia, le comiche velleità e gli esilaranti chiacchiericci che animano il mondo della borghesia piemontese, tra professionisti dalla doppia vita, dame dell’alta società affascinanti e snob, e industriali. Sullo sfondo – ma è in realtà la vera protagonista – vi è una Torino in apparenza ordinata e precisa fino alla noia, che nasconde un cuore folle e malefico: «La leggendaria monotonia della città era un’invenzione di osservatori superficiali. Torino era una città per intenditori» commentano gli autori (che sull’argomento la sanno lunga). (altro…)

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