Intervista

Intervista a Beatrice Simonetti

 

 

Carissime e carissimi,

Oggi abbiamo il piacere di ospitare nel nostro salottino Beatrice Simonetti, autrice de Il cielo d’acciaio, recentemente recensito su questo blog.

Trovate la recensione qui: Il cielo d’acciaio

1.Ciao Beatrice, vuoi presentarti ai lettori del nostro blog raccontando qualcosa di te?

– Ciao! Innanzitutto, ti ringrazio per avermi proposto questa bellissima intervista. 

Dunque, vivo in provincia di Ancona, a Castelfidardo, la città che ha dato il via all’industria della fisarmonica e dove si è combattuta una delle battaglie decisive del nostro Risorgimento.

Oltre alla mia passione per la scrittura, sono laureata in Traduzione Letteraria (nello specifico in lingua e cultura russa e tedesca) e ho sempre avuto un’attenzione particolare per il ventesimo secolo (soprattutto per la storia della Germania e della Russia) che adoro approfondire attraverso una collezione infinita di saggi!

Inoltre, ho una grande passione per la lettura, per i videogiochi e per tutto ciò che permette di staccare la spina e viaggiare con la mente!

2. Quando hai iniziato a scrivere? Che ruolo occupano la scrittura e la lettura nella tua vita?

– Scrivo praticamente da sempre. Alle scuole medie scribacchiavo delle storielle fantasy strampalate sui fogli della stampante, durante le ore di matematica. Da quel momento, non ho mai più smesso.

Nel cassetto ho sempre custodito il sogno di vedere in libreria qualcosa scritto da me, ma al tempo nutrivo l’illusione che fosse tutto molto più semplice, perfino scrivere un romanzo.

Ora che sono decisamente più grande, nonostante le diverse consapevolezze, la scrittura occupa comunque uno spazio fondamentale, durante le mie giornate, e cerco di trovare sempre del tempo per mandare avanti i miei progetti.

Per quanto riguarda la lettura, invece, sono parecchio onnivora. Potrei passare dalla letteratura russa, alla saggistica o al romance, senza nessun problema.

Amo tutto ciò che è ben scritto e mi tiene incollata alle pagine.

3. Il cielo d’acciaio, romanzo bellissimo, vede intrecciarsi le vicende di quattro personaggi principali (Miroslaw, Johannes, Käthe e Hermann). Qual è stata la genesi nella caratterizzazione degli stessi?

Il cielo d’acciaio è nato insieme a Miroslaw Nowak. Per mesi, dopo la conclusione de Il fiume di nessuno (in cui Miroslaw è soltanto uno dei compagni di squadra di Benjamin Händler, protagonista dell’opera) avevo in testa solo lui e sua figlia Käthe.

Volevo rendere giustizia al personaggio di Miroslaw, dopo gli avvenimenti disastrosi de Il fiume, perché ero sicura che avesse molto altro da dire. In generale, sentivo che si nascondesse un mondo vastissimo, oltre la scorza da duro che aveva mostrato in trincea, quando era solo un ragazzino. Così, mi sono divertita a immaginarlo più grande di vent’anni.

Johannes è nato diversi mesi dopo. Inizialmente doveva essere la contrapposizione di suo padre Benjamin, poi si è fatto strada nella mia mente ed è esploso come un fuoco d’artificio. Ora, è uno dei personaggi a me più cari.

Hermann è stato il mio antagonista più complicato da gestire. La sua psiche era una pentola a pressione difficile da tenere a bada.

4. Hannes passa dal “mito del superuomo” iniziale, alla disillusione e al rinnegamento. Da lettori assistiamo a un profondo cambiamento. È stato complicato riuscire a raccontare il dolore nelle sue sfaccettature?

Lo è stato parecchio, ma è stato un percorso altrettanto naturale. Il suo viaggio è stato doloroso, tortuoso. L’ho visto strisciare (metaforicamente e non) nel fango, per provare a conoscere se stesso, e a scindere quella parte di sé dagli ideali inculcatigli fin da quando era molto piccolo. Più volte mi sono dovuta fermare per riprendere fiato durante la stesura.

Ci sono state diverse notti in cui il suo personaggio mi ha tenuta sveglia per aggiungere tasselli che avevo ignorato. Era sempre nella mia testa. Una presenza costante.

Distruggere tutte le sue certezze è stato inevitabile, una crepa dopo l’altra.

Certe volte mi fermo a pensare che, se la guerra non fosse scoppiata e non fossero successe altre cose, forse Johannes sarebbe rimasto il ragazzino che conosciamo nell’aprile del 1939, e si sarebbe “accontentato” di vivere quel tipo di vita a metà.

5. Mi è piaciuta molto Käthe Nowak per il suo coraggio. La ritroveremo nel prossimo romanzo?

Ebbene sì. Anche se sarà molto secondaria, Käthe sarà presente anche nel terzo e ultimo romanzo della saga.

6. Il cielo d’acciaio fa parte di una trilogia. Mi chiedo se nel prossimo romanzo il protagonista sarà Yannick o se conosceremo un nuovo personaggio. Puoi rivelarci qualcosa?

Preparati agli spoiler!

Nel prossimo romanzo, di cui ho ormai quasi ultimato la prima stesura, una delle voci narranti sarà proprio quella di Yannick. Avremo di nuovo tre punti di vista, come ne Il fiume di nessuno.

Oltre a Yannick gli altri due protagonisti saranno “inediti”. Ormai è una caratteristica di questa saga, oserei dire, visto che anche ne Il cielo d’acciaio l’unico personaggio noto tra i protagonisti era Miroslaw.

Ti dico inoltre che il terzo volume della saga avrà una componente gialla più spiccata rispetto ai precedenti volumi e sarà ambientato prevalentemente tra il 1963 e il 1964.

7. Quali sono i tuoi progetti per il futuro oltre il completamento della trilogia?

Con la fine della saga credo che recupererò un romanzo distopico iniziato dopo la fine de Il cielo d’acciaio, di cui ho scritto solo pochi capitoli.

Poi ho in cantiere anche un’altra saga storica, stavolta composta soltanto da due volumi, ambientata in Unione Sovietica, di cui però preferisco non parlare troppo, visto che è ancora soltanto un’idea abbastanza fumosa.

8. Ultima classica domanda: quali sono i cinque libri che porteresti con te su un’isola deserta?

Porterei Delitto e Castigo di Dostoevskij, di cui sono ossessionata da quando ero un’adolescente, Espiazione di McEwan e per ultima, ma non per ordine di importanza l’intera trilogia della Grande Guerra di Remarque, quindi Niente di nuovo sul fronte occidentale, La via del ritorno e i Tre camerati. Quei romanzi mi hanno dato moltissimo, tanto da essere stati un perno fondamentale della mia tesi di laurea magistrale.

 

 

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Blog Tour Il seme del male – Intervista a Nicola Rocca

Buongiorno lettori di Infinity Passions. Oggi ospitiamo nel nostro salottino Nicola Rocca autore del thriller Il seme del male per il Blog Tour omonimo organizzato da @flavia’s_diary. La recensione del romanzo uscirà prossimamente sul blog

1. Ciao Nicola, vuoi parlare un po’ di te ai nostri lettori affinché possano conoscerti meglio?

Buongiorno a tutti. E grazie per avermi invitato a fare quattro chiacchiere con te e con il tuo blog.
Sono Nicola Rocca e, nonostante sia nato nel 1982 (
Cristo, quanto tempo è passato!), mi sento ancora un adolescente.
Vivo in un piccolo paese dell’Isola bergamasca e scribacchio storie dall’età di venticinque anni.

I primi tempi, ricordo, dovevo piangere miseria e pregare amici e parenti affinché leggessero i miei scritti.

Poi, a poco a poco, la ruota della vita ha iniziato a girare anche dalla mia parte e da qualche anno vivo di scrittura.

2. Hai scritto molti thriller, sei un appassionato del genere? Quali sono gli autori che consideri dei punti di riferimento?

Ho scoperto il genere thriller all’età di dodici anni, dopo avere visto per puro caso “Profondo rosso”, il capolavoro di Dario Argento. Da quel momento, non mi sono più fermato: ho cercato in continuazione film che suscitassero in me le stesse emozioni procurate da “Profondo rosso”.

Quando ho scoperto il piacere per la lettura, oltre quindici anni fa, ho iniziato a fare la stessa cosa con i libri.

Per rispondere alla tua domanda, i miei riferimenti sono: Jeffery Deaver, Giorgio Faletti, Donato Carrisi, Wulf Dorn, Franck Thilliez, Joël Dicker. Comunque, sono sempre alla spasmodica ricerca di nuovi autori e nuove storie da scorpire. E nelle quali immergermi.



3. Ne Il seme del male viene trattata una tematica alla base dei crimini decisamente attuale. Perché questa scelta e come ti sei documentato per poterla utilizzare nel romanzo?

Non è il primo romanzo in cui parlo di quell’argomento. Anzi, sono solito trattare sempre tematiche piuttosto forti e attuali. Lo faccio perché amo rendere le mie storie molto vicine alla realtà, oltre al fatto che sono affascinato da questi temi.

La documentazione è alla base del mio lavoro. Leggo articoli, fatti di cronaca, romanzi thriller e libri di psicologia. E chiedo spesso supporto a psicologi, psichiatri e medici, i quali mi forniscono sempre le informazioni delle quali necessito.

4. Il commissario Pablo sopravvive a un grande dolore e il lavoro è il suo rifugio dai ricordi che lo lacerano. È una figura interessante. Ci potrebbe essere la possibilità di ritrovarlo in un prossimo romanzo?

Il commissario Pablo incarna la personalità di tutte le persone che hanno la fortuna di avere una passione nella quale rifugiarsi. Una passione che rende sopportabile il lato oscuro della vita.

Mentre scrivevo “Il seme del male”, non pensavo a un possibile seguito, in quanto avevo dato maggiore importanza alla trama. Ora, però, mi rendo conto che Pablo ha qualche potenzialità per poter rivivere in altri romanzi. Una porta la tengo aperta. E chi vivrà… leggerà!

5. Caratterizzare i personaggi rendendoli persone reali è uno degli aspetti più interessanti in un romanzo in generale e in un thriller in particolare. 
Come ti approcci a questo processo creativo?

Per mia fortuna, questo tipo di lavoro di definizione mi risulta piuttosto semplice. O meglio, automatico, senza troppo sforzo. Ciò che cerco di fare è calarmi in ogni personaggio e ragionare come ragionerebbe lui. Un po’ come fanno gli attori quando interpretano la parte in un film.

Do molto spazio all’aspetto psicologico, tralasciando talvolta quelli fisici, che amio avviso sono meno importanti.

6. Sono curiosa e mi piacerebbe sapere se chi commette l’omicidio è stato scelto prima di iniziare a scrivere il romanzo o si è svelato pian piano durante la stesura.

Questa particolarità varia da romanzo a romanzo, da storia a storia. A volte, la trama è così chiara nella mia mente che è già tutto definito. Altre volte, invece, come nel caso de “Il seme del male”, l’assassino è emerso a poco a poco, durante la stesura.

Ogni tanto, non soltanto creo i colpi di scena, ma li subisco in prima persona.

E talvolta ne rimango pure stupito.

7. Quali sono i tuoi progetti futuri? Puoi darci un’anticipazione?

Ho così tante storie nel cassetto (nel senso che sono già scritte), che sono certo potrei far impazzire i miei lettori.

Si tratta di romanzi appartenenti alle serie del commissario Walker e dello scrittore Roberto Marazzi, ma anche con personaggi nuovi.

Non vedo l’ora di condividerle con voi, ma ovviamente devo cadenzare in maniera opportuna le pubblicazioni.

8. Infine la classica domanda finale: quali sono i 5 libri che porteresti con te su un’isola deserta.

Sono certo che cinque libri non sarebbero sufficienti, pertanto mi astengo 🤪

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Intervista a Stefania Sperandio

 

Diamo il benvenuto nel nostro salottino  a Stefania Sperandio autrice di Aftermath, la cui recensione è stata pubblicata nei giorni scorsi sul nostro blog.

1. Ciao Stefania vuoi parlare un po’ di te ai nostri lettori affinché possano conoscerti
meglio?

È sempre la domanda più difficile di tutte! Sono cresciuta in mezzo ai libri, quando ero
bambina non so come riuscivo sempre a convincere mia madre a comprarmene di nuovi,
e alla fine ho iniziato a scrivere le mie storie. Nella vita di tutti i giorni sono caporedattrice e
responsabile editoriale di una testata giornalistica dedicata ai videogiochi, ma nel tempo
libero porto avanti il mio amore per la narrativa: è la mia isola felice, quella che mi rimette
in pace con il mondo.

2. Aftermath e’ il sequel di Corpo estraneo di cui e’ il capitolo conclusivo. Come e’;
nata l’idea di scrivere una storia divisa in due capitoli?

Ti rivelo una curiosità: non era previsto! Quando scrissi Corpo Estraneo, avevo bisogno di
una storia che potesse dare senso ad alcuni pensieri, dopo degli eventi nella mia vita che
mi avevano portata a sentirmi improvvisamente… un corpo estraneo. Da qui l’idea del libro
e del suo tema.
Col passare del tempo, iniziai a immaginare di scrivere una trilogia per la vicenda di
Manuela Guerra. Alla fine, invece, decisi di saltare il secondo volume e di passare
direttamente a quello che idealmente doveva essere il terzo, che è Aftermath: è quello che
mi ha “chiamata” e che avevo bisogno di scrivere, in un certo senso.
Ti rivelo anche un’altra piccola curiosità: il secondo romanzo, quello che non è mai nato, in
realtà si nasconde in tanti dettagli e tanti temi ed emozioni che sono confluiti in Aftermath.
Una scena in particolare, quella in cui racconto la prima volta in cui Manuela e Anna si
sono incontrate, viene proprio da lì.

3. Manuela, Anna, Daniela, tre donne unite da profonda amicizia e affetto. Come sei
riuscita a creare tre caratteri differenti, ma molto reali? Ti sei ispirata a qualcuno?

Mi fa molto piacere che tu le abbia apprezzate nelle loro differenze. Penso che chiunque
scriva si ispiri al mondo che ha intorno, per rendere più vivo, vero e credibile quello che
crea. Quando ero più giovane, per scrivere prendevo come riferimento una persona per
ogni personaggio: questo però, in un certo senso, rendeva un po’ più difficile sfaccettare i
protagonisti. Ora, in ognuno dei protagonisti si nascondono più persone: c’è qualcosa di
me in Manuela, in Anna, in Daniela. E in ciascuna di loro c’è qualcosa delle mie più care
amiche – Martina, Marta e Jana: è pensando a loro che ho creato questi tre personaggi.

4. I personaggi maschili non ne escono molto bene, hai voluto con questo romanzo
rendere omaggio alla forza delle donne?

Non sono completamente d’accordo, sai? Ci sono diversi personaggi maschili che
commettono degli atti orrendi – basti pensare a Lucas, il sicario che ha cercato di uccidere

Manuela, non riuscendoci. Ma spesso sono grigi. E anche le protagoniste lo sono:
Manuela stessa viene introdotta nel libro in modo molto particolare.
Di solito, quando studi come si narra una storia, ti insegnano che è importante fare in
modo che il lettore si leghi subito al tuo personaggio, che deve ispirare empatia per
qualcosa che gli succede, o per il suo carisma. Nel prologo di Aftermath, invece, ti
presento Manuela dandole il ruolo di antagonista. È un’inversione che colpisce di più
quando, iniziato il capitolo 1, ci si rende conto che quella non è davvero “il cattivo” della
storia che vivrai, ma la protagonista. Volevo che fosse chiaro fin da subito che il bianco e il
nero a volte sono punti di vista, e ho cercato di applicare questo sia ai personaggi
femminili che a quelli maschili: una lettrice mi ha detto, a un certo punto, di essersi fatta
delle domande su “per chi sto facendo il tifo in questo libro?”, dopo essersi accorta che
gesti che avrebbe ritenuto ingiustificabili se affibbiati a un antagonista le suonavano molto
più comprensibili e quasi condivisibili, se compiuti dai protagonisti.
Sulla forza delle donne, invece, ti dico assolutamente sì. Quando ero bambina leggevo
tantissime storie e nel genere che mi piaceva di più – quello delle avventure dove le vite
erano sempre sul filo – trovavo pochissimi personaggi femminili. Valeva lo stesso nei film
e nei videogiochi: spesso le donne erano solo mezzi narrativi in funzione del protagonista
maschile, o un obiettivo passivo da salvare.
Con la mia scrittura voglio raccontare le storie che avrei voluto leggere, storie di donne
che lottano, cadono, sbagliano, amano, sempre secondo i loro termini, umane ma mai
arrendevoli. Scrivo per insegnare qualcosa a me stessa, i miei personaggi sono un punto
di riferimento soprattutto per me: sono la prima ad aver bisogno di queste protagoniste e a
dover imparare dalla loro forza. Spero che possano trasmetterla anche ai lettori e ad aprire
anche ai più sordi una porta che conduca a una maggior empatia nei confronti di noi
donne: in quest’epoca ne abbiamo davvero bisogno.

5. Aftermath e’; un thriller dall’;intreccio complesso, ma così ben strutturato che il
lettore e’; invogliato ad andare avanti per conoscere cosa accadrà. Come hai
impostato lo schema per la cronologia degli avvenimenti? E come sei riuscita ad
incastrare tutto senza che ci siano buchi nella trama?

Grazie di cuore! Il segreto è prendere davvero tanti appunti. E fare un sacco di cose
strane – ma in fondo in fondo, quando siamo da soli siamo tutti un po’ strani, no?
Io, ad esempio, per Aftermath ho almeno una quarantina di pagine di appunti. Sono in
maggior parte scalette, elenchi puntati di cosa doveva succedere. A volte anche solo
emozioni, dove appunto che tipo di “colore” dovesse avere il colpo di scena, senza aver
ancora capito a che fatti veri e propri sarebbe andato a corrispondere.
E ho un bel po’ di appunti sui personaggi, per evitare di fare un macello: date di nascita,
parentele, quartiere in cui abitano.
Mi piace scrivere storie con intrecci che si sciolgono un passo alla volta, ma non riesco a
decidere tutto su due piedi. In un’intervista, Alice Sebold disse che «non so come faccia a
scrivere chi sa subito tutto della storia, io mi annoierei», e mi ci rivedo tanto. Appunto le

cose via via che vengono e le lascio sedimentare, faccio in modo che si allineino piano
piano. Ho ancora delle pagine di appunti in cui stavo scrivendo di getto diverse opzioni
che avrebbero potuto portare avanti la storia, e in cui alla fine cerchiavo quella che capivo
sarebbe stata l’ideale.
E, sulle cose strane che facciamo quando siamo da soli, sappi che mi è capitato più di una
volta di costruire dei dialoghi ad alta voce, per provare a capire come sarebbero suonate
quelle parole. C’è una scena con Daniela che chiacchiera in un bar con un altro
personaggio, ad esempio, che ho appuntato via via che immaginavo lo scambio a voce
alta, girando a vuoto per casa e interpretando entrambi i personaggi. Direi tutto bene! 😀
Insomma, penso che il “trucco”, se così si può dire, sia il tempo. Appuntare le idee, le
sensazioni che si vogliono dare, e darsi il tempo di capire come allineare le cose. Molte
bozze sono morte sull’altare di Aftermath, ma tutte le loro idee che invece potevano
funzionare sono rimaste e hanno reso possibile questo romanzo.

6. Nel romanzo Manuela ascolta spesso Elisa. Che ruolo ha la musica nella tua vita?

Grazie per averlo chiesto, perché la musica è un altro modo di aiutarsi a scrivere, per me.
Non ricordo una sola storia che non abbia avuto delle canzoni di riferimento che mi hanno
spinta nelle loro atmosfere, che mi hanno aiutata a caratterizzare il loro mondo.
In un momento in cui ho avuto difficoltà a capire come incastrare tutti gli eventi di
Aftermath, Spotify mi ha pescato una canzone di Elisa: era “Anche Fragile”. Un passaggio
in particolare, «senza tutta questa fretta mi ameresti davvero? Mi cercheresti davvero?»
mi ha folgorata, ho pensato che fosse molto calzante per uno dei temi che volevo
sviluppare nel libro. Io di solito ascolto un genere molto diverso da quello di Elisa, ma da
quel punto in poi si è rivelato un idillio che è continuato per tutto il romanzo (e che
continua ancora oggi, con mia grande gioia).
Già in Corpo Estraneo avevo citato Elisa con “No Hero” in una playlist nell’autoradio di
Manuela. Così ho deciso di omaggiare il fatto che la sua “Anche Fragile” mi avesse
sbloccata, mi avesse spinta a capire che atmosfera volevo in Aftermath: Elisa è diventata
una presenza costante del romanzo. Anche i nomi delle diverse parti in cui la storia è
divisa (“Non fa niente ormai”, “Anche Fragile”, “Tutte le vite”, “Qualcosa che non c’è”,
“Quelli che restano”, “A modo tuo” e “L’anima vola”) sono tutti titoli di canzoni di Elisa, in
realtà: ho immaginato fossero quelli della famosa playlist che Manuela tiene nella sua
autoradio. Quando ascoltiamo musica ci apriamo a noi stessi, è un momento senza
maschere: ho pensato che avere dei riferimenti alla musica che ascolta Manuela potesse
renderla più reale come persona, più completa. Siamo vivi anche e soprattutto nelle cose
piccole che ci caratterizzano.
Quindi sì, direi che la musica ha un ruolo fondamentale in quello che scrivo: mi aiuta a fare
i conti con le mie emozioni e, quando non le capisco, mi aiuta a farle uscire per rendermi
conto di cosa ho bisogno di raccontare.

E ha un ruolo fondamentale nella mia vita: mi calma, mi cura, un po’ come scrivere. Mi
succede con quella musica dove posso percepire il messaggio, “la vocazione” di chi l’ha
scritta. Forse anche per questo sono rimasta così colpita da Elisa, o per questo sono da
quasi vent’anni innamorata della musica dei Nightwish: se hai qualcosa da tramandare
con la tua musica, qualcosa che sia molto più di un “voglio essere ascoltato da tante
persone, quindi farò qualsiasi cosa serva per piacere al mercato”, allora mi interessa.

7. Ho letto che sei un’esperta di videogiochi. In futuro pensi di utilizzare queste tue
conoscenze in un romanzo?

So che suona curioso da dire, ma l’ho già fatto! Ho imparato tantissimo da alcune storie
che ho vissuto all’interno dei videogiochi, non ti sorprenderà che i cosiddetti “story-driven”
siano i miei preferiti: sono quelli che usano la forza dell’interazione per raccontare una
storia. Ho dedicato entrambe le mie tesi di laurea (sia triennale che magistrale) allo studio
dei videogiochi, alla forza e all’impatto che possono avere nel mondo reale: parte di
quell’impatto viene anche dalle storie che raccontano.
La citazione all’inizio di Aftermath, ad esempio, è di Hideo Kojima: è un famoso creatore di
videogiochi giapponese (Metal Gear, Death Stranding) e credo sia l’autore che ha avuto
l’influenza più forte sulla mia vita e su quello che scrivo. E anche lui crede fermamente nel
potere delle storie: quello che leggiamo, guardiamo o giochiamo può arricchirci. Volevo
fortemente che Aftermath lo facesse – e questo l’ho imparato dai videogiochi, perché
diversi di essi hanno avuto un impatto molto forte sulla mia vita e su quello che faccio.

8. Quali sono i tuoi progetti futuri? Puoi darci qualche anticipazione?

Non ho ancora piani precisi per la scrittura, sicuramente ci saranno alcune uscite che
saranno di saggistica e non di narrativa, a proposito del mio lavoro legato al mondo dei
videogiochi. E nel tempo libero finirò la ristesura di un romanzo che scrissi anni addietro,
proprio come tributo a un videogame, che renderò disponibile gratis online: lo devo alle
tante persone che lo stanno aspettando da tempo, alle quali invece ho dovuto rispondere
che mi dispiaceva, perché Aftermath mi aveva chiamata e ora aveva la priorità! Dopotutto
sono le storie che ti vengono a chiamare, per me, e non l’opposto.
E per il futuro chissà: magari scriverò per la prima volta qualcosa di completamente
diverso da questo genere (già Aftermath è molto differente dai miei libri precedenti), chi
può dirlo?

9. Ultima classica domanda: quali sono i 5 libri che porteresti con te su un’isola
deserta?

– “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson
– “Amabili resti” di Alice Sebold
– “Quel che affidiamo al vento” di Laura Imai Messina
– “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini
– “Il gene del talento” di Hideo Kojima

 

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Approfondimento Blog Tour La piantagione Walker – Claudia Brandi – Intervista all’autrice

Diamo il benvenuto nel salottino di Infinity Passions a Claudia Brandi, autrice de La piantagione Walker, primo capitolo di una serie ambientata negli Stati Uniti prima della Guerra di Secessione. 

Vi lascio alla lettura dell’intervista che mi ha gentilmente concesso.

Claudia Brandi

1) Ciao Claudia vuoi presentarti alle amiche e agli amici che mi seguono raccontando qualcosa di te?
Sono umbra d’origine ma espatriata in Francia da sette anni; vivo a Lione e sono insegnante di inglese, sposata e mamma di due gatte straviziate. Ho sempre amato scrivere e leggere ma la mia vera passione sono i viaggi (all’estero).
2) Solitamente gli scrittori sono anche lettori, cosa ti piace leggere in particolare? Hai degli autori che prediligi?
Leggo di tutto ma prediligo romanzi storici, autobiografie e saggistica. Non prediligo autori in particolare, quando compro un libro vado molto a istinto, mi baso sul titolo, la copertina e la descrizione, non guardo mai le recensioni degli altri lettori….
3) Hai scelto per il tuo romanzo un’ambientazione non consueta. Da dove parte la scelta del periodo precedente la Guerra di Secessione americana?
Ho sempre amato la storia americana e il periodo prima della Guerra Civile, sicuramente perché da bambina adoravo guardare Via col Vento e, in genere, l’Ottocento è il mio secolo di predilezione da sempre. Ci terrei anche a sottolineare una cosa  per me  molto importante: nonostante l’etichetta di romanzo storico non ho mai avuto la pretesa di scrivere storici perché non sono una storica. Quello che volevo era scrivere una storia d’amore ambientata nell’Ottocento, La piantagione Walker. è un romanzo che si situa a metà tra lo storico e il romance. Il periodo storico fa da background alla storia d’amore.
4) Hai mai visitato gli States? Che impressione ti sei fatta del popolo americano e della loro cultura? 
Visito gli States ogni anno, ogni volta un posto diverso. Ho visitato dodici stati americani finora. La loro cultura è diversa da stato a stato e dipende dalla loro storia; gli stati del sud e quelli del nord non hanno vissuto le stesse esperienze e non hanno la stessa mentalità al giorno d’oggi. In generale, adoro il popolo americano. Una parte della mia famiglia è americana: ho dei cugini in Florida e nel New Jersey. Sono i discendenti di una prozia che immigro’ in america negli anni cinquanta.
5) Via col vento, il famosissimo romanzo della Mitchell, ha un ruolo nella scelta di ambientare il tuo romanzo nel sud degli Stati Uniti del XIX secolo?
Si, come dicevo ho interiorizzato la storia e l’ambientazione di Via Col vento fin da piccola e sicuramente la passione per quell’epoca è venuta da li
6) Ci spieghi come sono nati i tuoi personaggi, la genesi e lo sviluppo?
La storia e i personaggi sono nati durante una vacanza in Louisiana nel 2021. Stavo visitando una piantagione e lì Ashley, Celia e Thomas sono apparsi nella mia mente. La primissima scena che ho scritto è quella in cui Ashley e Celia passeggiano lungo il viale della piantagione quando si incontrano e parlano per la prima volta.
7) So che La piantagione Walker è il primo capitolo di una serie di romanzi, hai già iniziato a scrivere il secondo?
Sì, il sequel è già scritto e attualmente sto scrivendo il terzo episodio. La Piantagione Walker è una saga familiare.
8) Ci puoi accennare, per stuzzicare la curiosità, qualcosa su come si evolveranno le vicende di Ashley e Celia?
Nel secondo romanzo Celia e Ashley dovranno affrontare ancora tanti ostacoli che metteranno a dura prova il loro amore. Nella seconda parte c’è un salto temporale di tanti anni e nuovi personaggi appariranno nella saga, con intrecci di storie d’amore, passione, litigi e tradimenti.
9) Oltre la prosecuzione de La piantagione Walker hai altri progetti in cantiere?
Sì, ho molte altre idee di storie d’amore ambientate nell’Ottocento. Prima o poi le scriverò! Posso anche annunciare ufficialmente che La Piantagione Walker (e i suoi seguiti) usciranno anche in francese a breve.
10) Infine l’ultima classica domanda: quali sono i 5 libri che porteresti con te su un’isola deserta?
Porterei “Jane Eyre” di Charlotte Brontë, “La ricerca del tempo perduto” di Proust, “Pelle nera, maschere bianche” di Frantz Fanon, “Il Signore degli Anelli” di Tolkien, “Macbeth” di Shakespeare e un’antologia di poesie di Quasimodo e Ungaretti.

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Intervista a Samantha Di Prizito

Diamo il benvenuto nel salottino di Infinity Passions a Samantha Di Prizito autrice de Il circo eterno pubblicato da Dark Abyss Edizioni recensito oggi sul nostro blog.

Ciao Samantha vorrei iniziare questa chiacchierata chiedendoti di presentarti e parlare un po’ di te ai nostri lettori affinché possano conoscerti meglio.

Ciaaaao!

Innanzitutto, grazie per aver speso parte del tuo tempo per questa intervista. Te ne sono molto grata!

Io sono Samantha, più semplicemente Sam. Vivo in provincia di Modena, anche se il mio cuore appartiene al Regno Unito. Leggo da quando ne ho memoria e scrivo storielline più o meno spastiche dalla tenera età di sette anni, quando mi annoiavo in fretta e mettevo insieme personaggi e situazioni sconclusionate per il gusto di farlo. Cosa mi abbia fatto cambiare idea e mettere il cuore, oltre che l’impegno, nelle mie storie, non lo so, eppure…!

Sono un’amante del tè, dell’autunno e di Halloween. Mi piace la pioggia, odio il caldo con tutta me stessa e sono mamma di tre rattini e un cagnolino. Più, madre adottiva di due micine stupende.

Nel tempo libero, quando non traduco per Dark Abyss Edizioni, leggo sia libri che manga oppure gioco alla play; a volte mi diletto nella scrittura (o meglio, nel procrastinare sui miei piani di scrittura) e nell’editing dei romanzi delle altre persone. Se proprio ho il cervello fritto, guardo anime. Fra i miei preferiti: Fullmetal Alchemist, Nana, Fruits Basket, Evangelion, Black Lagoon e Shingeki no Kyojin.

– Solitamente ogni scrittore è anche un lettore. Quali letture prediligi? Ci sono degli autori e autrici che ti hanno ispirata nel tuo percorso di scrittrice?

Partiamo dalle letture che prediligo: sono una persona molto particolare, quando si tratta di romanzi. In generale, sono fan del realismo magico, delle storie con tematiche legate alla sfera della comunità LGBTIAQ+, in quanto parte della stessa, e con tinte malinconiche e pregne di angst e tristezza. Se ci pensi, il mio libro preferito è Una Vita Come Tante, che ha spodestato malamente Il Piccolo Principe dopo anni di primato indiscusso!

Leggo spesso in lingua, sia inglese che spagnola, ma non ho un genere ben preciso. Mi accontento di tutto, tranne della letteratura erotica, quella fantasy a sfondo epic o high perché sono un po’ tinca e spesso non capisco il sistema magico o mi perdo in un bicchiere d’acqua, finendo per annoiarmi, e il romance.

Gli autorə che per me sono auto-buy sono Mathias Malzieu, Erin Morgenstern e T. J. Klune.

Per quel che riguarda autorə che possono aver ispirato il mio percorso di scrittrice, eheh. Che domanda difficile. Non penso che ce ne siano, se devo essere sincera. La mia storia nasce come ex fanfiction, quindi in realtà non ho mai pensato a lei come a un potenziale romanzo fino a boh, tre anni fa? Quattro? E a quel punto, era davvero impossibile estrapolare un paio di nomi già affermati nel mondo della scrittura. Non mi è mai piaciuto paragonarmi ad altrə scrittorə già più o meno affermatə, in quanto penso di avere ancora molta strada da fare prima di ritenermi una scrittrice vera e propria, quindi spero non ti dispiaccia se non ho ancora una risposta a questa domanda. Magari fra qualche anno e fra qualche libro in più, riuscirò a rispondere!

– Il Circo Eterno è un romanzo in cui il protagonista Evan passa da una fase iniziale di chiusura interiore a una sempre maggiore consapevolezza di sé stesso e a una crescita personale che lo trasformerà da ragazzo in uomo. Quanto è stato difficile creare un personaggio così ben strutturato?

Evan è me, ma in versione maschile. È l’insieme delle mie insicurezze, delle mie paure e dei miei difetti più grandi. Non è stato facile strutturarlo, perché lavorare su di lui ha sempre significato affrontare una parte di me che non mi è mai piaciuta.

È anche vero che Evan è solo all’inizio di questo percorso. Come dicevo brevemente in uno dei miei post, Evan è eroe e antieroe, in quanto ha un arc evolutivo che poi scivola di nuovo nella tossicità. Lui è vittima di sé stesso e in qualche modo, in questo primo volume, deve imparare ad arrendersi alle cose che non può controllare, come la giustizia divina.

Tuttavia, dal 2014, anno in cui questa storia ha iniziato a vedere la luce, il mio rapporto con Evan è cambiato. Lui continua a schifarmi ed è giusto così; io non riesco a vedermi senza di lui, non riesco a pensare a una vita in cui non ho occasione di conoscerlo. Attraverso Evan e il suo percorso, ho avuto la possibilità di conoscere meglio me stessa e lavorare su determinati aspetti di me. Senza contare il salto nel vuoto che ho fatto riguardo la mia salute mentale, appunto appoggiandomi al coraggio che Evan ha sempre dimostrato. Lui rimane un codardo di fondo, pauroso e insicuro, ma almeno ci prova, anche se fallisce o se sbaglia; non vedo perché io non possa fare lo stesso.

A oggi, fra me e lui c’è dialogo e tanto mi basta, perché si sta aprendo, si sta facendo capire e ascoltare, cosa che prima non aveva mai fatto.

Per quanto difficile affrontare questi aspetti negativi e queste debolezze attraverso Evan, è anche vero che costruirlo e scrivere di lui è semplice come respirare, perché appunto è una parte inscindibile del mio essere. Fra tutti, credo che sia il personaggio di cui mi riesce più semplice scrivere perché la sua voce è chiara e forte, soprattutto negli ultimi tempi.

– Ogni capitolo è contrassegnato nel titolo da una carta, una figura dei Tarocchi o delle carte napoletane e da un’introduzione che svolge la funzione (come il coro nelle tragedie greche), di spiegare ciò che sta per accadere. Ho trovato interessante questo escamotage narrativo. Come si è sviluppata questa idea?

Non ci sono riferimenti carte napoletane, nel mio romanzo, dal momento che non le conosco. E lo specifico sia per non fuorviare, sia perché non essendo pratica dei mazzi napoletani, non vorrei che lə lettorə si creassero aspettative che poi non vengono corrisposte o che vengono corrisposte male. Da lettrice, posso garantire che è una delle cose peggiori che possano accadere.

In ogni caso, la mia ispirazione principale è stato un mazzo di tarocchi che mi è stato regalato da una personcina speciale. È il mio mazzo di riferimento, quello che uso per fare le letture ogni tanto, che vorrei usare come trampolino di lancio per imparare nel modo giusto a leggere le stese. Si chiama Shadowscapes Tarot Deck e ha colori pastello e creature che ricordano il Piccolo Popolo; è un mazzo legato molto alla natura e al mondo animale, ma con tinte fantasy e gentili, che mi dà molto le vibes di Fantasia e Fantasia2000 della Disney. Forse non il trampolino di lancio perfetto per imparare, in quanto i disegni sono molto elaborati e pieni di dettagli, ma va bene così. A me le cose semplici non piacciono.

L’ispirazione per l’escamotage è venuta mentre stavo facendo una stesa per me stessa e alla fine ho pensato che sarebbe stato molto carino associare a ognuno dei personaggi uno degli Arcani Maggiori. Da lì, poi, si è dipanato il resto. Quello che accade in ogni capitolo è alla fin fine il centro, il cuore di ognuna delle carte. Non penso che ci sarebbe stata altra soluzione se non quella di usare il resto degli Arcani come filo conduttore del tutto. L’introduzione con le due righe è semplicemente per chi non è ferratə nel mondo dei tarocchi e la lettura degli stessi; un piccolo accenno di significato che, a mio parere, va a donare quel qualcosa in più nell’atmosfera del capitolo in sé.

Io non sono una fan del “capitolo uno”, “capitolo x” ecc. Preferisco titoli creativi, qualcosa di meno formale, che si leghi alla storia e alla vicenda. Alla fine, un libro è il prodotto finito di tanti piccoli elementi e dettagli che si legano insieme, no? Mi piace la coesione, la coerenza anche a livello grafico. Sono i dettagli che mi rimangono impressi, che mi fanno innamorare e che, a mio parere, rendono un romanzo ancora più unico.

Però devo riconoscere che questo lampo di genio sia arrivato solo a storia completa, prima che la impaginassi per pubblicarla in self, e che capire quale carta appartenesse a quale capitolo sia stata una sfida non indifferente. Una faticaccia, davvero, ma che ha ripagato soprattutto con questa seconda pubblicazione con Dark Abyss Edizioni, quando Madre Corva ha fatto la sua magia.

– I riferimenti all’antichità classica ne Il Circo Eterno sono legati alla presenza di note figure mitologiche. La mitologia sta vivendo un momento di grande successo grazie a numerosi retelling. Cosa ti ha spinto ad utilizzarla per il romanzo? Come ti spieghi questo interesse?

Ti dirò forse una cosa che ti stupirà tantissimo, ma… io odio i retelling ahah. Non mi piacciono affatto, ne leggo ben pochi e scelti, che si rifanno a miti o storie dimenticate o poco conosciute (conosci Il Lago dei Cigni? Non il cartone, bada bene. Oppure The Lady of Shalott? Ecco). La mia libreria personale ne conta forse tre, quattro al massimo.

Tutto quello che compare nel libro è lì per una ragione. Citando Mamma Corva: non esistono le coincidenze. Quando ho riscritto Il Circo Eterno per la millesima volta, dandogli poi la forma definitiva, il mio pensiero non è mai andato a “voglio scrivere di mitologia.”

L’aspetto mitologico è stato un mezzo per raccontare una storia. Mi serviva qualcuno che governasse il tempo, il caos, il destino e l’universo. Non sono ferratissima in materia di mitologia, tant’è che ho alzato le mani fin da subito specificando che mi sono presa un paio di licenze poetiche qui e là, quando si è trattato di dare forma e spessore a queste creature. Volevo dare loro un tocco mio, personale, che fosse in armonia con la storia. Perciò ho fatto quello che ho sempre fatto fin da quando scrivevo fanfiction nel fandom dei One Direction: ho preso elementi ben conosciuti, con i loro tratti principali, e li ho piegati alla mia fantasia.

Per quel che riguarda nello specifico gli aspetti del mio romanzo, di sicuro quello a cui sono più affine è il circo. Volevo infatti una storia che fosse ambientata lì, ma che portasse il lettore a sospendere le credenze, come diceva Coleridge. Per farlo, ho dovuto prendere elementi verosimili, qualcosa a cui le persone fossero legate e con cui avessero familiarità. Ecco perché si è inserito non solo l’aspetto sovrannaturale, con le anime e gli spiriti, ma anche quello della mitologia, con creature più dinamiche e più attive, se vogliamo, in grado di interagire davvero con il mondo e cambiarne le sorti.

Come vedi, a me piace sperimentare e piegare le regole, eheh.

– In questo fantasy la presenza femminile è ridottissima, per non dire inesistente. Come mai hai scelto di scrivere un romanzo “maschile”?

AHAHAHAH! Rido tantissimo perché questa è una critica/osservazione che mi ha fatto la ragazza che fece editing alla storia prima che la pubblicassi in self e un aspetto del libro che, fino a quel momento, non avevo mai notato.

In realtà non c’è un perché. Semplicemente, i personaggi si sono introdotti da soli e hanno preso la forma di individui che si identificano nel genere maschile. Io li ho lasciati fare, dando loro lo spazio e la voce di cui avevano bisogno, senza mai pormi il problema. Questa era una storia che andava raccontata al maschile, una storia in cui avrei messo alla luce le debolezze di chi viene ritenuto una roccia, sempre forte e incapace di farsi toccare dagli eventi che accadono loro attorno. Volevo mettere in luce anche questo: che non sono solo le donne a essere fragili, ma gli esseri umani nel loro complesso, a prescindere dall’identità in cui si rivedono e dai pronomi che usano. Solo che questa è una riflessione che ho fatto postuma alla pubblicazione del libro, quando ho avuto modo di lavorare sul testo con Sonia e discutere determinati aspetti e scelte.

Non mi è mai pesato, però quando ho dovuto dare questo romanzo a Emanuela e, successivamente, quando è passato nelle mani di Sonia, la mia editor, ho ripensato a quello che aveva detto la mia amica. Aumentare la presenza femminile avrebbe stravolto troppo la storia, che volevo mantenere fedele all’originale nonostante i difetti e gli eventuali punti deboli, perciò abbiamo provato a dare loro un ruolo più attivo, che risaltasse nei momenti giusti e che rimanesse impresso nella mente e nei ricordi dellə lettorə. Ci siamo riuscite, io e Sonia? Non lo so. Lo spero.

Posso dire, però, che da quel momento sto sperimentando. Ho provato a scrivere/abbozzare qualche storia inserendo un personaggio femminile come protagonista e sto cercando di giostrarmi nella sua costruzione e nel modo in cui si muove e interagisce con l’insieme. Il mio work in progress ha una presenza femminile abbastanza bilanciata, per esempio. Non posso negare che, nonostante tutto, continuo a prediligere voci narranti e punti di vista maschili a quelli femminili sia nella scrittura che nella lettura (riguardo la lettura, tra l’altro sono ben poche le protagoniste femminili che mi piacciono e che stimo).

– Ho trovato originalissima l’idea dei bottoni legata alle anime, il soprannaturale ti affascina? Credi che esista un aldilà?

Io credo nel sovrannaturale e ho avuto anche qualche esperienza in merito. Non penso di credere nell’Aldilà in senso biblico, né che ci sia vita dopo la morte inteso come un regno, una dimensione in cui si va per vivere in eterno come esseri incorporei.

Forse c’è qualcosa, c’è una dimensione sospesa dove l’energia e lo spirito rimangono in attesa, ma non posso saperlo con certezza. Sono ancora viva, dopotutto. Ti vorrei anche dire che sono curiosa di sapere cosa c’è dopo la vita, se c’è qualcosa dopo la vita, ma mentirei.

– Evan e Rian, l’amore che dura per l’eternità, perché chi si ama si ritrova sfidando le leggi del tempo. L’amore è un grande mistero. Sei riuscita a dare profondità a questo rapporto facendoci percepire le emozioni dei due giovani. È stato difficile lavorare su questo aspetto?

Sì, è stato parecchio difficile. Io sono sempre stata allergica all’amore. L’ho sempre snobbato e schifato, perché ho sempre creduto di non averne bisogno. Ora sono in una relazione stabile, felice e capisco ogni aspetto di questo sentimento, ma prima… Ahahah, prima ero Sheldon Cooper in persona, quando spruzza roba in giro per ammazzare i germi. Solo che, nel mio caso, i germi erano l’amore e il romanticismo. Ora so che è per via del mio orientamento sessuale e romantico, ma all’epoca non avevo abbastanza conoscenza in merito per sentirmi in pace con me stessa e accettare che, per certi aspetti, funziono in modo diverso rispetto gli ideali e i canoni della società e che va bene così.

È stato difficile perché comunque si trattava di un sentimento che io non volevo ascoltare, come Evan; un sentimento che temevo e che credevo di non meritare perché non lo capivo e non lo apprezzavo, al punto che mi sono autoconvinta di non volerlo e di non averne bisogno. Credo che questo rifiuto non mi abbia permesso di esplorare a fondo e come avrei voluto questo aspetto del libro. Certo, l’affetto si percepisce, l’amore e la devozione anche, ma non tocco mai più a fondo della superficie quello che l’amore rappresenta davvero per entrambi. All’epoca, l’idea mi terrorizzava e penso che si veda nel modo in cui Evan approccia la sua realtà. Però, come tutti gli aspetti difficili di questo romanzo, anche scrivere di amore mi ha insegnato tanto.

Alla fine, tu non dimostri alla tua dolce metà di amarla solo dicendo “ti amo” e tenendolə per mano o baciandolə, dico bene? Lo fai con le piccole cose, con le piccole attenzioni che dimostri ogni giorno, con la tua presenza e il tuo supporto e la fragilità che metti in mostra quando sei con ləi. Spero che al lettore arrivi almeno questo, che l’amore sarà anche un mistero e non sempre semplice, ma le piccole cose condivise e l’umiltà, il rispetto e la fragilità sono la più grande dimostrazione di fiducia e di amore esistenti.

– Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai qualche idea su un prossimo romanzo?

Qualcosa bolle in pentola, sì.

Ho un romanzo pronto, fatto e finito, a cui devo apportare ancora un paio di modifiche. A quel punto, deciderò con il suo protagonista se sarà il caso di fargli vedere la luce o meno. È un progetto a cui tengo un sacco, che chiuderebbe un arco di crescita, ma è anche molto intimo e personale e devo essere psicologicamente pronta per mostrarlo al mondo. Se possibile, è molto più fragile e intimo de Il Circo Eterno.

Ho anche un work in progress, come dicevo prima, a cui lavoro a tempo perso, ogni volta che ho occasione di aprire una finestra di dialogo con quei disgraziati dei personaggi, più difficili di Evan per via della loro dinamicità e il loro approccio alla vita (non schifano tutti e non cercano attivamente di fare danni; al contrario, vogliono fare la cosa giusta… Tu riesci a crederci?). L’idea alla base di questo progetto è già stata delineata nel dettaglio e sto cercando di legare insieme i vari aspetti, di dar loro coerenza. Sono molto entusiasta e gasata all’idea di quello che sarà il risultato finito, anche se sto lavorando per contenere quelle bestiole, che hanno capito quanto è bello plasmare la storia secondo il loro volere e non il mio.

Poi in realtà avevo un altro paio di progetti nel cassetto, ma dovrei rispolverare un mucchio di roba che al momento è dispersa nei cartoni del trasloco di sei anni fa, quando me ne sono andata in Inghilterra e ho lasciato la mia roba indietro. Quindi, invece di fare il mio dovere, traduco cose belle per Dark Abyss Edizioni e lascio che il mio partner in crime faccia memes che mi fanno piangere ed emettere versi disumani da tanto che sono belli e accurati.

– Infine l’ultima classica domanda: quali sono i 5 libri che porteresti con te su un’isola deserta?

Ah, che brutta domanda. Come chiedere a una madre qual è il preferito tra i figlioli. Oppure, nel mio caso, chiedere chi è il mio preferito fra i rattini.

Sicuro porterei la trilogia di All For The Game. Forse solo il secondo e il terzo libro, i miei preferiti. Mi stamperei anche un volume apposta con tutte le mie fanfiction preferite, per saziare il mio bisogno di angst, se devo essere onesta.

Poiii… Oh, sì! La trilogia di Micah Grey, di Laura Lam. Forse questa trilogia risponde anche alla domanda di prima: penso sia stata Laura Lam a farmi capire che potevano esserci storie di forza che nascono dalla debolezza e dalla paura, che non sempre questi sentimenti sono solo distruttivi. Penso che senza di lei, la storia di Evan non avrebbe mai preso la forma che ha preso oggi.

E penso che siano questi, i cinque libri: The Raven King, The King’s Men di Nora Sakavic e Pantomime, Shadowplay e Masquerade di Laura Lam.

Un po’ di sano trash/comfort read e una delle storie più belle, originali e rivoluzionarie che io abbia mai letto in vita mia.

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LCS Natale di libri – Book Event: intervista a Maria Antonietta

Per l’evento LCS Un Natale di libri ho intervistato in esclusiva Maria Antonietta autrice del romanzo “To the moon and back“.

Ciao Maria Antonietta e benvenuta nel mio salottino dove chiacchiero piacevolmente con gli autori.

1. La prima classica  domanda è: ogni scrittore, di solito, è anche un lettore. Cosa preferisci leggere? Hai dei generi e/o degli autori che prediligi?

Il mio genere preferito sono i polizieschi e i thriller. Se scritti bene, anche i romanzi storici.

I miei autori preferiti sono Andrea Camilleri, George R.R. Martin e Diana Gabaldon.

2. Dalla tua biografia ho appreso che sei attratta dalle tematiche LGBT. Da dove scaturisce questa predilezione?

La mia passione per il genere nasce con la scoperta degli yaoi, boy’s love giapponesi.

Il male/male è il genere col quale riesco a esprimermi meglio; contrariamente a quanto si potrebbe pensare mi trovo molto più a mio agio nel descrivere scene di sesso tra due uomini che tra una coppia etero. E poi, calarmi nei panni maschili riesce a disciplinare la mia penna un po’ selvaggia e sregolata quando deve creare personaggi femminili.

3. Riguardo al romanzo “To the moon and back – Dammi la luna”, con cui partecipi all’evento Un Natale di libri organizzato da LCS Ufficio Stampa, volevo porti alcune domande:

– quali sono state le scene più difficili da scrivere?

Non ci sono state scene difficili da scrivere. Si è creato e scritto da solo; sono momenti di grazie per un autore che potrebbero non ripetersi.

– a quale dei tuoi personaggi ti senti più legata e per quale motivo?

A Leonardo Venier, il protagonista di To the Moon and back. Incarna le mie contraddizioni, i miei valori, la passione con cui amo e odio. La mia scorza dura e il nucleo tenero.

– con quali aggettivi definiresti i protagonisti dei tuoi romanzi? Ci parleresti un po’ di loro affinché i miei lettori possano conoscerli meglio?

I protagonisti dei miei romanzi sono tutti “tormentati”, hanno un passato difficile alle spalle, si fanno il mazzo per emergere e si innamorano una volta sola, quell’unica volta che cambia le loro vite.

Sono artisti, professionisti, studenti, idealisti e sognatori. Le donne sono pezzi di me.

4. Sei solita rileggere i tuoi romanzi dopo la pubblicazione?

No. Una volta consegnato il romanzo alle stampe il mio cervello lo “rinnega”. Stranissimo, lo so, ma non riesco più a leggerli. Forse per paura o per pudore, chissà… In ogni cosa che scriviamo c’è tanto di noi e non sempre si ha voglia di guardarsi allo specchio.

5. Quali progetti hai per il futuro? Hai in cantiere altre storie?

Il futuro molto prossimo prevede l’uscita in self di un romanzo F/M a cura di LCS Lucia C.

Ho un altro m/m in valutazione, decine di storie in testa e due in stesura, ma ancora niente di definitivo. Non voglio inflazionarmi, desidero propormi al mio pubblico solo se ho davvero qualcosa di profondo da raccontare.

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Intervista a Claudio Chillemi

 

 

Inauguriamo il salottino di Infinity Passions con l’intervista a Claudio Chillemi scrittore e saggista di fantascienza, autore de L’aquila nera recentemente recensito sul nostro blog.

Buongiorno Claudio la ringrazio per aver accettato la nostra intervista. Inizio subito con il chiederle leggendo la sua biografia e visitando il suo sito mi ha incuriosita scoprire che lei è un appassionato di fantascienza e che molti suoi lavori appartengono a questo genere letterario. Da dove nasce questa passione?

È una passione antica che nasce da bambino. La lettura dei fumetti dei supereroi, la visione di serie TV come Star Trek e Spazio 1999, e la lettura di Jules Verne e Emilio Salgari. Ce n’è  abbastanza per creare un piccolo nerd (come direbbero gli americani) e un appassionato di fantascienza e fantasy. (altro…)

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