Niente di vero – Veronica Raimo – Einaudi

 

Niente di vero. Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l’uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c’era. Veronica Raimo sabota dall’interno il romanzo di formazione. Il suo racconto procede in modo libero, seminando sassolini indimenticabili sulla strada. All’origine ci sono una madre onnipresente che riconosce come unico principio morale la propria ansia; un padre pieno di ossessioni igieniche e architettoniche che condanna i figli a fare presto i conti con la noia; un fratello genio precoce, centro di tutte le attenzioni. Circondata da questa congrega di famigliari difettosi, Veronica scopre l’impostura per inventare se stessa. Se la memoria è una sabotatrice sopraffina e la scrittura, come il ricordo, rischia di falsare allegramente la tua identità, allora il comico è una precisa scelta letteraria, il grimaldello per aprire all’indicibile. In questa storia all’apparenza intima, c’è il racconto precisissimo di certi cortocircuiti emotivi, di quell’energia paralizzante che può essere la famiglia, dell’impresa sempre incerta che è il diventare donna. Con una prosa nervosa, pungente, dall’intelligenza sempre inquieta, Veronica Raimo ci regala un monologo ustionante.

Recensione

Quando ho letto Niente di vero confesso di esser rimasto perplesso, l’età media in generale s’è parecchio alzata ma vincere lo Strega Giovani a 44 anni è bizzarro, poi ho realizzato che i giovani sono quelli che votano per assegnare il premio ma a vincere può essere pure un ottantenne…e allora non ho potuto far a meno d’immaginare un Sanremo Giovani strutturato in questo modo, i diciottenni a votare e Albano, Vanoni, Zanicchi a cantare ma vabbè sto divagando.
Torno alla Raimo perché in fondo il libro, specie la parte iniziale, non è male, due risatine non proprio a sganasciarsi le strappa e almeno Niente di vero non mi ha trasmesso quel carico di ansia elargitomi dalla Teresa Ciabatti (scrittrice a cui mi sentirei di accomunare Raimo) dell’altra auto fiction (ma quanto è brutta questa definizione?) La più amata.
Diciamo che a parer mio Raimo si limita a scrivere bene mentre Ciabatti trovo abbia una concezione della punteggiatura parecchio avveniristica dove l’andare a capo è previsto solo in occasioni speciali.
Non che peraltro mire avanguardistiche siano del tutto assenti in Niente di vero, in uno dei commenti associati alla sinossi leggo testualmente: “Veronica Raimo sabota dall’interno il romanzo di formazione”.
Ma perché?
Cosa vi ha fatto il romanzo di formazione?
Quale patologia endemica hanno prodotto nel tessuto sociale opere come Jane Eyre o Il giovane Holden da dover addirittura richiedere un sabotaggio dall’interno (manco dall’esterno che se non altro risulterebbe più epidermico) del romanzo di formazione?.
Inutile dire che per quanto mi sia sforzato tutti ‘sti vagiti rivoluzionari io non li ho ravvisati, forse alla mia età sto del tutto smarrendo quella capacità intuitiva che da giovani ci permette di riconoscere al primo refolo il vento del cambiamento.
A me è sembrato un libro adatto a trascorrere qualche ora più o meno gradevolmente, con un’autrice che si è impegnata al massimo per raccontarci gli affari suoi, mentendo o meno va a sapere ma, insomma, una che utilizza due pagine per metterci a parte dei suoi problemi di stitichezza tendo a credere sia sincera.
In definitiva da leggere a parer mio ma senza eccessive aspettative, almeno non quelle che sarebbe, ad esempio, lecito nutrire prima di degustare una Margherita a 51 euro da Briatore.

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