La settima luna. La notizia è di quelle che richiedono un brindisi speciale. Su una terrazza incastonata nel Supramonte, in uno degli hotel più incantevoli della Sardegna, il vicequestore Vito Strega sta festeggiando la nascita della nuova unità investigativa sui crimini seriali. Con lui ci sono le inseparabili ispettrici Eva Croce e Mara Rais. Finalmente tutto sembra andare per il verso giusto. Ma una telefonata li riporta alla realtà e i tre devono salutare il cielo terso e il sole dell’isola. Nelle terre paludose del Parco del Ticino è stato ritrovato il corpo di una ragazza. Quando l’ispettrice Clara Pontecorvo arriva sul posto, stenta a credere ai propri occhi: la vittima ha le mani legate dietro la schiena e indossa una maschera bovina. Mancava solo questo per Clara, che ha già un grosso problema: è alta 1,98, non trova mai dei vestiti adatti a lei. Tantomeno un uomo. L’istinto le dice che quella scena del crimine potrebbe essere la riproduzione di un altro delitto avvenuto anni prima in Sardegna. E nessuno, meglio di Strega, Rais e Croce, conosce quel caso, che aleggia ancora nelle loro vite come un’ossessione. Ora a piede libero c’è un emulatore, che vuole i riflettori puntati su di sé… I poliziotti dovranno essere più uniti che mai, e Vito Strega, per la prima volta così vulnerabile, si troverà a fare i conti con il proprio passato. Piergiorgio Pulixi, in un romanzo dal passo ritmato di danza, si addentra nei meandri oscuri dell’umano e interroga l’essenza più intima di una terra impenetrabile. Dall’inizio alla fine, una domanda, come un tarlo, accompagna Strega e noi lettori: sono i poliziotti a dare la caccia al killer o è lui a dare la caccia a loro?
RECENSIONE
Secondo romanzo di Pulixi che leggo e ancora una volta, curiosamente, il titolo omaggia l’incipit di una celebre canzone italiana ovvero L’ultima luna di Lucio Dalla.
Nel caso dello Stupore della notte (il mio primo “incontro” con Pulixi) si trattava di una storia autoconclusiva, La settima luna è invece parte di un ciclo (credo sia un quinto episodio) ma cambia poco nel senso che i nodi vengono tranquillamente al pettine e non ci sono rinvii a romanzi successivi.
E mi è piaciuto, Pulixi, non credo debba dirlo io, è una delle migliori realtà del noir italiano e la sua capacità di creare personaggi sufficientemente contorti e intriganti, eppure dotati di quel senso dell’umorismo che generalmente il mondo thriller non si porta proprio da casa, mi sembra abbastanza acclarata.
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La settima luna si apre con un quartetto di poliziotti, che poi cercherò di descrivere più dettagliatamente, alle prese con un brindisi in uno degli hotel più prestigiosi della Sardegna.
C’è da festeggiare la creazione di una nuova unità investigativa che si occuperà di crimini seriali.
A capo di questa nascente squadra è il vice questore Vito Strega, passato agli onori della cronaca per aver risolto il caso del Dentista, che da pochi accenni presenti nel romanzo desumo essere un serial killer più che uno stimato odontoiatra perseguito per il mancato rilascio di alcune fatture.
Strega è un bell’uomo, la qual cosa in un noir che si rispetti non guasta mai, alto oltre un metro e novanta ma c’è chi lo supera e ne parleremo poi, molto riservato riguardo al suo privato però sappiamo che adora le due ispettrici Eva Croce e Mara Rais, e le adora al punto tale da aver timore d’innamorarsene.
Le due donne non potrebbero essere più diverse e come spesso avviene in questi casi si completano finendo, è un classico, per diventare sinceramente amiche.
Mara Rais è sarda e di lei sappiamo che è separata con figlia, piuttosto esuberante e con la battuta sempre pronta, ma capace d’intuizioni assolutamente geniali.
Eva Croce è molto più riservata, riflessiva, e, forse a causa di una tragedia familiare che l’ha colpita, molto meno predisposta verso la risata facile.
Ovviamente Strega ripone una fiducia incrollabile nelle sue due collaboratrici, oltre che nell’Ispettore Pavan ovvero il quarto elemento della squadra.
Pavan è veneto, il suo credo principale è la buona cucina e le sue capacità tecniche sono probabilmente superiori a quelle espresse sul campo.
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Parlavamo di festeggiamenti che però ad un certo punto vengono interrotti da una telefonata dell’ispettrice toscana Clara Pontecorvo che opera in una località al confine fra Lombardia e Piemonte.
È stato scoperto un cadavere e Clara con notevole perspicacia collega il rituale dell’omicidio con quelli risolti in precedenza da Vito Strega e compagnia.
Clara possiede delle peculiarità che la rendono inconfondibile, è alta quasi due metri, ha una corporatura non esattamente da silfide ed è dotata di una stretta di mano in grado di provocare reazioni simili ai primi sintomi del tunnel carpale.
A fronte di tutto ciò, e di un’oggettiva difficoltà a trovare vestiti e scarpe oltre che uomini, l’ispettrice toscana non disdegna neppure lei le battute, anche piuttosto argute, sebbene a volte, proprio perché troppo salaci, sia costretta a contenerle al livello di flusso di coscienza.
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A questo punto della storia Strega e soci sono naturalmente obbligati a spostarsi al nord, in primis per la curiosità di misurarsi con un caso assai simile al precedente che li ha visti protagonisti ed in second’ordine perché la loro fama ormai oggettivamente li precede.
Ho cercato di privilegiare i tratti distintivi dei personaggi principali de La settima luna a scapito di una trama piuttosto complessa e ben articolata che di certo non merita di essere spoilerata eccessivamente.
Pulixi è bravo nel costruirla senza però mai perdere di vista nessuno dei protagonisti, i dialoghi risultano sempre interessanti sia al fine della comprensione della storia che per conoscere meglio il vissuto dei personaggi.
Tutto fila come un orologio svizzero fino all’epilogo che mi ha francamente un po’ deluso e a tal punto da farmi togliere mezza stellina.
Naturalmente non posso entrare maggiormente nei dettagli, diciamo solo che lo avrei letteralmente chiuso dieci pagine prime troncando di netto gli ultimi due capitoli che sembrano opera di un altro autore.
È che a volte ci sono, almeno presumo, esigenze editoriali per cui i finali devono essere indirizzati in un certo modo ma così facendo non ci si rende conto di come un epilogo eccessivamente sbrigativo ed in contrasto col resto del romanzo possa danneggiare tutto il buon lavoro svolto fino a quel momento.