La pioggia prima che cada – Jonathan Coe – Feltrinelli

 

 

La pioggia prima che cada. La Zia Rosamond non è più. È morta nella sua casa nello Shropshire, dove viveva sola, dopo l’abbandono di Rebecca e la morte di Ruth, la pittrice che è stata la sua ultima compagna. A trovare il cadavere è stato il suo medico. Aveva settantatré anni ed era malata di cuore, ma non aveva mai voluto farsi fare un bypass. Quando è morta, stava ascoltando un disco – canti dell’Auvergne – e aveva un microfono in mano. Sul tavolo c’era un album di fotografie. Evidentemente, la povera Rosamond stava guardando delle foto e registrando delle cassette. Non solo. Stava anche bevendo del buon whisky, ma… Accidenti, e quel flacone vuoto di Diazepam? Non sarà stato per caso un suicidio? La sorpresa viene dal testamento. Zia Rosamond ha diviso il suo patrimonio in tre parti: un terzo a Gill, la sua nipote preferita; un terzo a David, il fratello di Gill; e un terzo a Imogen. Gill e David fanno un po’ fatica a capire chi sia questa Imogen, perché prima sembra loro di non conoscerla, poi ricordano di averla vista solo una volta nel 1983, alla festa per il cinquantesimo compleanno di Rosamond. Imogen era quella deliziosa bimba bionda venuta con gli altri a festeggiare la padrona di casa. Sembrava che avesse qualcosa di strano. Sì, era cieca. Occorre dunque ritrovare Imogen per informarla della fortuna che le è toccata. Ma per quanti sforzi si facciano, Imogen non si trova. E allora non resta – come indicato dalla stessa Rosamond in un biglietto – che ascoltare le cassette incise dalla donna…

RECENSIONE

Coe non mi delude mai, un approdo sicuro, un qualcosa su cui poter contare, anche quando, come in questo romanzo, si cimenta in una storia al femminile dove le figure maschili sono meno di un dettaglio.
Per un uomo, sia pure un grande scrittore, non è mai facile parlare di donne, non sappiamo coglierne, e neppure ne possediamo, la sensibilità è la prima cosa che viene in mente, probabile.
E se non conosci e non capisci un mondo come fai poi a descriverlo?
Coe ci riesce? Forse da uomo sono la persona meno adatta ad esprimere un giudizio, però posso parlare del libro a cominciare dal titolo, s’inizia sempre da lì in fondo.

È Coe stesso a raccontare come l’idea gli venne da un brano, The rain before it falls appunto, del vibrafonista jazz Gary Burton, jazz ma con spiccate tendenze alla fusion… informazioni che ho letto perché tutto ciò che gravita attorno a jazz e fusion per me è ostrogoto.
Non è la prima volta che la musica fa capolino nei titoli di Coe, The Rotter’s club (La banda dei brocchi nella versione italiana) fu anche un celebre disco degli Hatfield and the North, band fondamentale della scena di Canterbury degli anni settanta.
Ma la pioggia prima che cade è anche una frase meravigliosa che fa parte del capitolo più bello del romanzo, la frase in realtà riecheggia più volte ma quel capitolo da solo vale la lettura.
È il capitolo di ciò che non poteva essere e non sarebbe stato, il momento più alto di una storia d’amore ma nel contempo anche quello che ne certificava la fine.
“Qualcosa può farti felice, anche se non è reale”
Questa frase potrebbe teoricamente essere configurata come spoiler, ma a mio parere è meglio conoscerla prima d’iniziare la lettura così almeno uno ci arriva preparato.

Il talento di Coe risiede anche nella sua versatilità narrativa:
Se amate la musica, il cinema, i ricordi (tre punti cardine dell’autore), le atmosfere un po’ alla Grande freddo direi che La banda dei brocchi resta lettura irrinunciabile.
Se invece preferite saghe familiari, storie di formazione, oppure essere illuminati sugli anni 80, il tatcherismo, un periodo del passato che più di altri ha inciso indelebilmente sul futuro, allora La famiglia Winshaw fa al caso vostro.
Se poi propendete per qualcosa di più intimo, narrazioni in prima persona, tematica delicate ma affrontate con garbo, senza usare la clava, non come le affronterebbe un uomo (ma, sorpresa, si tratta effettivamente di un uomo!) evidentemente La pioggia prima che cada potrebbe sorprendervi.

Ogni volta che leggo Coe non posso proprio evitare di metterlo un po’ in competizione con scrittori connazionali del suo tempo e non solo:
Meglio Coe o Nick Hornby? Coe
Meglio Coe o David Nicholls? Coe
Meglio Coe o Charles Dickens? …e vabbè sto a scherzà!!!

Cosa aggiungere che non sia parte integrante della trama, in precedenza ho parlato di tematiche delicate affrontate con garbo e non era scontato, le oggettive difficoltà di una coppia omosessuale negli anni cinquanta, i non manifestati seppur palesi desideri di adozione destinati a rimanere frustrati, la volontà di essere accettate socialmente.
Di contro un rapporto madri-figlie dov’è totalmente assente qualsiasi forma, sia pure primordiale, d’istinto materno.
Le madri di questo romanzo agiscono secondo schemi tipicamente maschili in cui i figli sono quasi degli incidenti di percorso.
E sebbene i loro comportamenti siano parzialmente giustificati da un’infanzia di vessazioni si resta ugualmente sgomenti.
Non è un appunto a Coe, non mi permetterei, semmai mezza stelletta in meno per il finale che vanifica l’attraente escamotage delle fotografie illustrate da una voce registrata.
Ma cercavo il disegno, il destino che toglie e restituisce, e invece, semplicemente, non esiste…come la pioggia prima che cada. 

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