La diva Julia – William S. Maugham – Adelphi

La diva Julia. Guidata da pochi principi, quasi tutti appresi alla scuola di recitazione, Julia Lambert (“la più grande attrice d’Inghilterra”) sa decisamente irretire il suo pubblico. Ma Julia sembra sempre sul punto di cadere: in un matrimonio mediocre, in un amore con un ragazzo che ha vent’anni meno di lei, nei trabocchetti tesi dai debuttanti che vorrebbero rubarle la scena. E ogni volta il lettore, spettatore dal loggione, vorrebbe metterla in guardia. Ma Julia riesce a scegliere benissimo da sé il tono, il gesto, l’inquadratura.

RECENSIONE

Quando ho la fortuna di leggere un romanzo con i fiocchi, ma realmente appagante e non di quelli che si definiscono belli o gradevoli in modo generico, ho quasi timore di commentarlo e non perché mi reputi scarsamente all’altezza (in realtà lo sono sempre), quanto per la ferma convinzione che nessun tipo di recensione potrebbe rendere un merito maggiore della lettura.
Ho preso informazioni, giusto il minimo sindacale, La diva Julia è un romanzo del 1937 e il titolo originale è Theatre.
La data forse non è importante, il titolo originale si, la protagonista è una grande attrice teatrale ma è il teatro stesso ad essere protagonista assoluto, sbaglierebbe a parer mio chi pensasse in qualche modo di ritrovare nella Julia di Maugham un riferimento cinematografico, non esiste, siamo su due pianeti differenti e la riprova è il non trascendentale film del 2004 tratto dal romanzo, una sorta di pietanza scondita salvata, forse, in calcio d’angolo dall’ottima interpretazione di Annette Bening.
Julia è l’identificazione col teatro elevata all’ennesima potenza, tutta la sua esistenza è teatro, lei stessa è ripetutamente portata ad autoincensarsi ogni volta che non sul palco ma nella vita pubblica ( ed in fondo cos’è la vita se non il palcoscenico più gratificante dove esibirsi) riesce a cavarsi d’impaccio grazie al proprio talento, memorabili le pagine in cui decide di concedersi al suo antico spasimante Lord Charles e poi è costretta a tirarsi indietro a causa della fredda reazione dell’uomo.
Ed è curioso che una tale sublimazione della contiguità fra l’attrice e la donna venga in definitiva colta soprattutto, o forse soltanto, dal figlio Roger ovvero la figura che per tutto il romanzo ci appare come la più disinteressata o se non altro la meno inserita nel contesto.
E paradossalmente proprio le pagine, anch’esse memorabili, relative all’unico reale confronto madre-figlio di tutto il libro sono quelle in cui la “maschera” di Julia viene per la prima e forse unica volta posta in discussione.
Per il resto, in ogni momento della storia, Julia appare perfettamente in grado di gestire, plasmare, determinare il corso degli eventi soltanto con l’ausilio delle armi del teatro.
Certo ci sarebbe un altro episodio in grado di sparigliare le carte in tavola, quando Julia s’innamora di Tom la cosa sembra davvero trascendere ogni suo controllo, per dirla alla Malkovich-Valmont, ma è lì che Julia ( o forse sarebbe meglio dire Maugham) si supera facendo leva sull’innamoramento per preparare il terreno ad uno dei finali più formidabili che mente umana potesse confezionare per un romanzo.
E a quel punto non ci rimane che scortare la protagonista nella sua sontuosa marcia di avvicinamento al ritrovamento di se stessa.
L’immagine di Julia che si siede nella saletta del Berkeley è una di quelle per cui, dal punto di vista letterario, vale la pena di vivere, indimenticabile.
Romanzo da leggere senza se e senza ma?
Forse, ma più di ogni altra cosa romanzo da assaporare pian piano, quasi come se ci trovassimo immersi in un percorso di degustazione sensoriale, e tutto al solo scopo di serbarne il ricordo con maggiore cura.
Recensione a cura di Massy
/ 5
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