Caminito – Maurizio De Giovanni – Einaudi

recensione a cura di Massimiliano Mascalzi

Caminito. È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l’esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d’odio che soffia sull’Europa rischia di spazzare via l’idea stessa di civiltà. Sull’orlo dell’abisso, l’unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l’amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi. Le ragioni dell’omicidio appaiono subito oscure; dietro il crimine si affaccia il fantasma della politica. Con l’aiuto del fidato Maione – in ansia per una questione di famiglia – Ricciardi dovrà a un tempo risolvere il caso e proteggere un caro amico che per amore della libertà rischia grosso. Intanto la figlia Marta cresce: ormai, per il commissario, è giunto il momento di scoprire se ha ereditato la sua dannazione, quella di vedere e sentire i morti.

RECENSIONE

Tutto ciò che ha un inizio prima o poi ha pure una fine…tutto, tranne il ciclo del Commissario Ricciardi
L’incipit ha luogo dall’altra parte dell’Oceano, ritroviamo Livia, la ricchissima vedova con l’hobby del bel canto perdutamente innamorata di Ricciardi alias il commissario con gli occhi verdi.
La donna ha cambiato nome, ora si fa chiamare Laura (cognome Lobianco, e sta modificando pure il suo repertorio che dalla canzone classica napoletana si sta spostando verso il tango.
E naturalmente ritroviamo anche Ricciardi, sono passati cinque anni, l’Italia ha instaurato le leggi razziali e si sta preparando ad entrare in guerra, il commissario invece sta indagando insieme al fido Maione su un duplice omicidio apparentemente inspiegabile.
Nel frattempo sua figlia Marta sta crescendo, ha compiuto cinque anni e Ricciardi inizia ad essere preoccupato, un po’ perché un vecchio adagio recita “figli piccoli guai piccoli, figli grossi guai grossi” e un po’ perché la bambina potrebbe avere ereditato il suo dono e allora sarebbero davvero volatili per diabetici come direbbe il buon Lino Banfi.
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Lo confesso, ho letto tutti i romanzi del ciclo di Ricciardi, tutti e tredici mica bau bau micio micio, ma non mi unisco al coro delle vedove del commissario che ritrovandolo (dopo soli tre anni per giunta) hanno esultato al grido di “è stato come ritrovare un caro amico”.
Sinceramente? Proprio no, la si doveva chiudere prima, molto prima a parer mio.
Per me l’undicesimo romanzo, Il purgatorio dell’angelo sarebbe stata la giusta conclusione, ma beninteso eliminando almeno tre o quattro romanzi precedenti.
Purtroppo, o per fortuna secondo molti, le leggi editoriali sono inflessibili, se un prodotto è vincente non s’interrompe, ne arriveranno anche altri ahimè e sarà sempre peggio.
Ormai la linea è tracciata, la parte gialla è da tempo un dettaglio irrilevante, quella storica lo è sempre stata, la componente “esoterica” ridotta a poco più di un noioso incidente di percorso, resta il gossip sostanzialmente e li De Giovanni riesce ancora a dire la sua ma per quanto?
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Ricordo una vecchia intervista dello scrittore, ne ricordo parecchie in verità, dove affermava giurin giurello che il ciclo di Ricciardi era chiuso e semmai lo avesse riaperto avrebbe voluto vedere il commissario alle prese con il dopoguerra, la ricostruzione, gli anni sessanta, quasi per misurarne la dimensione al cospetto di un mondo nuovo, così lontano dai suoi registri abituali.
E in questo caso lo avrei apprezzato, seguito con curiosità, con l’interesse che da sempre suscitano, almeno in me, le scommesse letterarie. Caminito
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Invece ancora una volta hanno prevalso gli interessi editoriali, e allora dovremo accontentarci di sapere che Livia, ex “pasionaria” della canzone partenopea sta imparando a cantare il tango come lo cantano gli uomini ma non dimentica il “suo” commissario, che Bianca Borgati dei marchesi di Zisa nonché Contessa di Roccaspina, ovvero le gambe più belle di Napoli e zone limitrofe, è stata praticamente declassata a babysitter ma il suo cuore continua a battere per Ricciardi, che Bambinella è ormai totalmente calata nel ruolo di protagonista del prequel del biopic su Alfonso Signorini, che Maione è fondamentalmente l’unico personaggio irrinunciabile della serie che senza di lui finirebbe per implodere.
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Caminito consigliato sinceramente non so a chi, persino sotto l’ombrellone o in riva al mare francamente penso si possa trovare di meglio da fare (pure la rima baciata), personalmente l’ho letto, e presumibilmente continuerò a leggerlo, perché a volte l’anima tafazziana presente in me prevale fino a trascendere ogni mio controllo e consentendomi almeno di citare il Visconte di Valmont o meglio John Malkovich e compiere così la mia buona azione quotidiana di lettore e appassionato di cinema.
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