Murate vive. Marianna de Leyva e le monache di Monza – Bruna K: Midleton – Bonfirraro

 

Murate vive. Marianna De Leyva, la monaca di Monza de I promessi sposi del Manzoni non era certamente sola nel monastero di Santa Margherita, con lei c’erano molte altre fanciulle “forzate” al velo claustrale contro la propria volontà. Le vicende che le coinvolsero s’inquadrano in un microcosmo di sortilegi e malefici, lussuria e pratiche ascetiche, disciplina e corruzione del clero. Le fanciulle venivano sacrificate a calcoli d’ambizione e d’interesse, d’avarizia e d’eredità, trasferite dai sogni dorati dell’adolescenza ai silenzi austeri delle celle, dai nascenti amori alle privazioni e all’isolamento della clausura, cui si contrapponevano i fantasmi d’una cupa disperazione, d’un irrefrenabile desiderio, d’una perversione della natura. Sotto l’abito claustrale si celavano le tentazioni, s’insinuavano i peccati, si profanavano i corpi e le anime. Se la Religione ne fu oltraggiata, la colpa va ricercata nell’infamia della nobiltà e del potere civile e religioso arroccato nei propri privilegi e nell’uso ignobile delle fanciulle. La più vergognosa delle ingiustizie s’era abbattuta sulle monache di Monza forzate al peccato e alle quali era stata chiesta una tremenda riparazione alla santità pretesa e violata. Il silenzio e il buio sono scesi per sempre su quella tragedia umana e religiosa che ha consegnato alla storia le monache di Monza.

RECENSIONE

Il sottotitolo di Murate vive è Sesso, sangue, morte e monache murate vive come carcasse a imputridire, parole forti per raccontare la storia di queste fanciulle obbligate al velo per ragioni familiari che divisero la loro esistenza tra privazioni, cupidigia, astinenza, folli desideri, peccati carnali. Parlo al plurale perchè in questa situazione si trovarono altre giovani oltre Marianna de Leyva, alias suor Virginia Maria, assurta agli onori della cronaca grazie ad Alessandro Manzoni che inserì la sua triste vicenda nei Promessi Sposi seppur in maniera accennata.

Non nascondo che la figura della Monaca di Monza mi ha sempre affascinata cosi come quella dell’Innominato (del quale ora sappiamo chi fu), ma tornando a suor Virginia Maria ciò che mi ha colpita in questo libro è la violenza psicologica esercitata da un padre sulla figlia per questioni meramente economiche e giuridiche, Ella pagò questa reclusione per far si che il fratello potesse ereditare un casato insieme a un cospicuo patrimonio che le apparteneva per eredità materna. 

“Quello, infatti, era l’unico luogo dove le fanciulle potessero essere se stesse senza dipendere da uomini spesso brutali e prepotenti e l’unica occasione per sfuggire alle ripetute gravidanze imposte alle novelle spose per assicurarsi la discendenza. Aveva annientato la sua disaffezione a farsi monaca, imponendole il “maggiorascato” e sottraendole l’eredità. “Al convento basterà una piccola dote”, si diceva. Sapeva che la “sua bambina” non aveva alcuna vocazione, che non aveva ricevuto nessuna “chiamata”, che ad attrarla era il mondo e la sua vita secolare, che sognava di amare un uomo, di farsi una famiglia, di avere figli e di crescerli dando loro quell’amore che lei non aveva mai conosciuto… ma quei sogni lui glieli aveva inceneriti. Dall’alto della sua presunta onnipotenza, si era arrogato il diritto di decidere del destino di sua figlia. Era convinto che essa dovesse essergli grata per la sorte che egli le aveva assegnato, anziché contestarlo e disprezzarlo”.

Questa citazione può far comprendere il cuore di questa narrazione in cui la sottrazione della propria vita, la rinuncia alla giovinezza ha portato agli avvenimenti che conosciamo e che segnarono il suo destino. Al convento infatti l’interesse, le ambizioni personali non mancano, così come l’occhio concupiscente nei confronti di qualsiasi giovane uomo piacente. 

 

 

Trasferite infatti dai sogni dell’adolescenza alla clausura, ecco che la lusinga di uno sguardo o di una parola seducente mette in crisi e apre la via a una storia, che forse, in una situazione diversa non sarebbe mai nata. Non dimentichiamo che queste ragazze sognavano un matrimonio, un marito e dei figli, una storia d’amore.

Invece sotto l’abito monacale si nascondevano le tentazioni, i peccati che profanavano corpi e anime. La monacazione coatta portava alla perdita della propria identità, alla rinuncia della vita e dei piaceri ad essa connessi, scatenando una ribellione nei confronti del sacrificio e delle privazioni, L’anima veniva umiliata, la privazione di se stesse, implica il cedere alle tentazioni e ad assecondare le pulsioni senza freni causando come reazione un conflitto interiore.

E’ quanto accade a suor Virginia Maria e alle sue consorelle. Se loro malgrado furono vittiime del loro tempo, altrettanto non si può dire di Giampaolo Osio, un uomo scellerato e vizioso che non esita ad approfittarsi di una giovinetta seducendola con parole che non potevano non aprire un varco in  un cuore che era alla ricerca dell’amore.

Nè meno viziosi di lui furono altri uomini, i piaceri carnali attraevano anche i preti, insomma il monastero si trasformò in un bordello. Molto interessante il finale del libro che riporta gli atti degli interrogatori fatti agli imputati sebbene abbia trovato discutibili le punizioni comminate alle monache.

 

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