L’impazienza del cuore – Stefan Zweig – Elliot

L’impazienza del cuore. Alla vigilia della Grande guerra, Anton Hofmiller, ufficiale dell’esercito austro-ungarico, conosce Edith, figlia di un ricco aristocratico ungherese. La ragazza, affetta da paralisi, provoca in Anton un ambiguo senso di pietà che lo spinge a farle visita quasi tutti i giorni. Scambiando questo sentimento per amore, Edith, aiutata dal potere persuasivo del padre, convince Anton a chiederla in sposa. Pentito, ma schiacciato dal senso di colpa, il protagonista scivola in comportamenti sempre più incoerenti, mentre sul loro destino si profila l’ombra della tragedia. Stefan Zweig compose questo suo primo romanzo tra il 1936 e il 1938, anni cruciali di cui la storia fatale e drammatica tra Anton e Edith rispecchia, come in una profezia, il tumultuoso e inarrestabile crescendo europeo, la rovina dell’intelligenza e dei sentimenti che in poco tempo avrebbe travolto l’intero continente.

RECENSIONE

Esiste una categoria di lettori, alla quale penso di appartenere, che si avvicina ai classici della letteratura, o comunque a romanzi del passato, con grande circospezione, molto spesso frammista a timore.

Zweig nel mio caso non fa eccezione, questa sensazione esiste ogni volta che inizio un suo libro, la differenza, semmai, è che sono sufficienti poche pagine per farla scemare.
Nello specifico de L’ impazienza del cuore, romanzo che si candida autorevolmente  ad occupare una delle posizioni di rilievo nella mia personalissima classifica delle migliori letture del 2023, è bastato il prologo per ingolosirmi, alla maniera di quegli aperitivi dove ti aspetti semplicemente un analcolico con due patatine in croce ed invece si presentano con panzerotti, taglieri di salumi e formaggi locali, mozzarelline di bufala, focaccia…e tu a quel punto capisci che il pranzo dovrà essere quantomeno all’altezza.
Ed è all’altezza del prologo L’impazienza del cuore?
È all’altezza.
Protagonista è la compassione, e questo insomma lo sanno pure i sassi ma lo ribadisco casomai qualche selce ancora non ne fosse a conoscenza.
La compassione in quelle che secondo Zweig sono le sue due uniche diramazioni possibili, l’una consistente nella pena per le avversità altrui di cui semplicemente ci si vuole liberare al più presto, l’altra, ben più profonda e difficile da conseguire, si realizza nella condivisione della pena e a lungo andare risulta assai più gratificante.
Sono tematiche delicate, che solitamente generano romanzi assai complessi e del resto già io per definire la trama con poche parole mi sono mezzo incartato.
Ma è peculiarità dei grandissimi trattare argomenti difficili, profondi, utilizzando un linguaggio semplice sebbene non banale, una scrittura esteticamente impeccabile benché immediata.
È il mio terzo Zweig (il terzo, non l’avrei mai creduto) e al di là del posto che può occupare nella letteratura , del livello di un romanzo che ci regala una riflessione di altissimo profilo sugli esseri umani, resto ancora una volta colpito dalla fruibilità, dall’accessibilità di uno scrittore che mentre lo leggi sembra quasi voglia  invitarti a volteggiare come se un tappeto di soffici note musicali scorresse in sottofondo.
Mi sarei potuto lanciare in innumerevoli citazioni, e L’impazienza del cuore le meriterebbe tutte, ma non è la mia specialità, la memoria labile non mi soccorre, e per giunta non amo le sottolineature nei libri, specialmente quando questi ultimi non mi appartengono.
Solo una piccola eccezione per “la ringrazio proprio tanto”, se anche lo rileggessi difficilmente sarei in grado di “catturare” una frase che meglio potrebbe definire il rapporto fra chi prova la compassione, oppure la offre, e chi la riceve, o magari la subisce.

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