La mano – Georges Simenon – Adelphi

 

La mano. Se Donald Dodd ha sposato Isabel anziché, come il suo amico Ray, una di quelle donne che fanno «pensare a un letto», se vive a Brentwood, Connecticut, anziché a New York, è perché ha sempre voluto che le cose, attorno a lui, «fossero solide, ordinate». Isabel è dolce, serena, indulgente, e in diciassette anni non gli ha mai rivolto un rimprovero. Eppure basta uno sguardo a fargli capire che lei intuisce, e non di rado disapprova, le sue azioni – perfino i suoi pensieri. Forse Isabel intuisce anche che gli capita di desiderarle, le donne di quel genere, «al punto da stringere i pugni per la rabbia». E quando, una notte che è ospite da loro, Ray scompare durante una terribile bufera di neve e Donald, che è andato a cercarlo, torna annunciando a lei e a Mona, la moglie dell’amico, di non essere riuscito a trovarlo, le ci vuole poco a intuire che mente, e a scoprire, poi, che in realtà è rimasto tutto il tempo nel fienile, a fumare una sigaretta dopo l’altra: perché era sbronzo, perché è vile – e perché cova un odio purissimo per quelli che al pari di Ray hanno avuto dalla vita ciò che a lui è stato negato. Isabel non dirà niente neanche quando Ray verrà trovato cadavere: si limiterà, ancora una volta, a rivolgere al marito uno di quei suoi sguardi acuminati e pieni di indulgenza. Né gli impedirà, pur non ignorando quanto sia attratto da Mona, di occuparsi, in veste di avvocato, della successione di Ray, e di far visita alla vedova più spesso del necessario. Ma Donald comincerà a non sopportare più quello sguardo che, giorno dopo giorno, lo spia, lo giudica – e quasi lo sbeffeggia.

RECENSIONE

Dall’alto delle mie lacune non avevo mai letto un libro di Simenon, e dire che ne possedevo qualcuno ma li guardavo e li lasciavo passare come i treni di un altro suo celebre romanzo .Ora ne ho letto uno e mi sembra giusto parlarne, anche perché resto, fondamentalmente, un lettore di libri mediocri e una volta che mi capita d’imbattermi in un romanzo prestigioso quattro cose le vorrei dire…ma proprio quattro.

Confesso che quando ho iniziato a leggere, e mentre attendevo di capire come la mano si sarebbe palesata, il titolo mi ha riportato alla mente un omonimo horror non indimenticabile ma che curiosamente si avvaleva, nell’ordine, della regia di Oliver Stone, dell’interpretazione di Michael Caine e degli effetti speciali di Carlo Rambaldi.
Nel film se la memoria non m’inganna Caine perdeva la mano in un incidente stradale mentre litigava con la moglie che peraltro lo tradiva (cornuto e mazziato quindi) e quest’arto se ne andava impunemente in giro per buona parte del film.
Non che paventassi un simile escamotage da parte di Simenon ma che ad un certo punto spuntasse una mano ne ero sufficientemente convinto.

In realtà il palesarsi della mano è nell’economia del romanzo assolutamente fondamentale, qualora uno giunto fin li nutrisse ancora dei dubbi sull’indole dei tre protagonisti, Donald, Isabel e Mona, da quel momento vengono fugati.
La mano vista come oggetto di seduzione, una di quelle intuizioni che a volte separano il grande scrittore da quello in odore di mediocrità.
Ma è, probabilmente, l’unica concessione al sentimento, il solo sprazzo di umanità in un romanzo definito, a quanto pare, crudele dal suo stesso autore.

Una crudeltà che traspare in primis, almeno così mi è parso, dalla totale assenza di redenzione in Donald ma è generale ( le due donne non sono da meno) una sorta di pavida indifferenza nel far male all’altro quasi lo si reputasse ineluttabile.

È un romanzo che lascia amarezza, un’amarezza direttamente proporzionale alla capacità di Simenon di renderti parte della storia con pochi tocchi di matita, non serve arrivare al disegno finito.
Il lento processo che porta Donald sull’orlo del precipizio sembra quasi appartenerci, una volta sollevata la sottile patina della famiglia, della posizione sociale siamo lì, testimoni quasi oculari del suo lento inabissamento.
Il finale non è che un dettaglio, non può esserci attesa dell’inatteso, tutto è già scritto probabilmente fin dall’incipit.

Ho concluso La mano praticamente in mezza giornata, non è un’impresa perché in fondo è molto breve, ciò che maggiormente mi ha colpito è la meticolosa attenzione alla psicologia dei personaggi e soprattutto, come detto, la maestria di Simenon nel veicolare il lettore all’interno della storia, quasi impareggiabile…quattro stelle per me senza neanche starci a pensare più di tanto.

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