Io sono l’abisso – Donato Carrisi – Longanesi

Io sono l’abisso. Sono le cinque meno dieci esatte. Il lago s’intravede all’orizzonte: è una lunga linea di grafite, nera e argento. L’uomo che pulisce sta per iniziare una giornata scandita dalla raccolta della spazzatura. Non prova ribrezzo per il suo lavoro, anzi: sa che è necessario. E sa che è proprio in ciò che le persone gettano via che si celano i più profondi segreti.
E lui sa interpretarli. E sa come usarli. Perché anche lui nasconde un segreto.
L’uomo che pulisce vive seguendo abitudini e ritmi ormai consolidati, con l’eccezione di rare ma memorabili serate speciali.

Io sono l’abisso. Quello che non sa è che entro poche ore la sua vita ordinata sarà stravolta dall’incontro con la ragazzina col ciuffo viola. Lui che ha scelto di essere invisibile, un’ombra appena percepita ai margini del mondo, si troverà coinvolto nella realtà inconfessabile della ragazzina. Il rischio non è solo quello che qualcuno scopra chi è o cosa fa realmente.
Il vero rischio è, ed è sempre stato, sin da quando era bambino, quello di contrariare l’uomo che si nasconde dietro la porta verde.
Ma c’è un’altra cosa che l’uomo che pulisce non può sapere: là fuori c’è già qualcuno che lo cerca. La cacciatrice di mosche si è data una missione: fermare la violenza, salvare il maggior numero possibile di donne. Niente può impedirglielo: né la sua pessima forma fisica, né l’oscura fama che la accompagna.
E quando il fondo del lago restituisce una traccia, la cacciatrice sa che è un messaggio che solo lei può capire. C’è soltanto una cosa che può, anzi, deve fare: stanare l’ombra invisibile che si trova al centro dell’abisso.

Recensione

Probabilmente non il miglior Carrisi di tutti i tempi, ma se si è alla ricerca di un romanzo da leggere in apnea, di una lettura che sia rassicurante come una serata con pizza e cinemino, lo scrittore pugliese rimane una garanzia.
Eppure, se andiamo a ben guardare, gli elementi dello scontato in Io sono l’abisso ci stanno un po’ tutti, il male presente in ogni dove (qui perfino il potere salvifico dell’amore materno va a farsi benedire), la tipica ambientazione claustrofobica che nello specifico riesce a rendere oppressivo pure il lago di Como, i classici protagonisti mai chiamati col loro nome di battesimo ma con appellativi abbastanza cervellotici (uno per tutti la cacciatrice di mosche, che almeno ha il buon gusto di non andarsene in giro con la racchetta).
Ma Carrisi riesce ancora una volta ad essere più forte della sua prevedibilità, senza nemmeno rendertene bene conto dopo poco meno di 400 pagine di Io sono l’abisso ti ritrovi per l’ennesima volta a pendere dalla sua penna in attesa di un epilogo in buona parte pronosticabile a metà libro.
E allora viene lecito chiedersi quale sia il suo segreto, forse l’aver in qualche modo rovesciato il pensiero dicotomico, o almeno quello applicato al thriller.
Non esiste il male in senso assoluto, (e nemmeno il bene assoluto evidentemente),  se partiamo da questo assunto ci rendiamo conto di come l’esplorazione del male possa protrarsi all’infinito proprio perché ne sono presenti innumerevoli sfaccettature (evito l’inflazionatissimo sfumature per carità di patria, ma sarebbe il termine più appropriato).
Non può esistere un essere che sia totalmente cattivo, che incarni integralmente il male, ed è una tematica su cui Carrisi insiste da tempo, non dico un mantra ma quasi.
Ogni persona, anche la più mostruosa nell’immaginario collettivo, avrà sempre l’opportunità d’incontrare sulla sua strada qualcuno agli occhi del quale risultare un eroe, e alcune delle pagine più significative di Io sono l’abisso sono tese ad enucleare questo concetto.
Insomma non si diventa a caso punti di riferimento del thriller italiano, poi sul quesito da un milione di dollari se Carrisi sia consigliabile a tutti o prevalentemente ai suoi propugnatori non mi esprimo…ma in fondo quanti saranno mai gli scrittori italiani i cui romanzi possono leggersi in mezza giornata?

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