Diamo il benvenuto nel salottino di Infinity Passions a Giuseppe Franza autore de I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso, recentemente recensito sul nostro blog.

Buongiorno Giuseppe la ringrazio per aver accettato la nostra intervista. 

Grazie a lei per il tempo dedicato al romanzo.

Inizio con una domanda che permetterà ai nostri lettori di conoscerla meglio.  

Chi è Giuseppe Franza e come è nata la sua passione per la scrittura?

Sono un quarantunenne napoletano. Lavoro come editor, quindi ho a che fare ogni giorno con la scrittura degli altri. La passione per lo scrivere dev’essere nata molto presto, e infatti non riesco a ricordarne l’origine. Nel senso che ho incominciato a inventare storie prima di imparare a scrivere.

Di solito dietro ogni scrittore si nasconde un lettore. Che tipo di lettore è e quali generi preferisce leggere?

Leggo di tutto, principalmente per lavoro. Per formazione e gusto personale preferisco i saggi ai romanzi. Leggo e rileggo trattati filosofoci.

Passando al romanzo I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso le chiedo a chi si è ispirato per la creazione di Zosimo?

Zosimo è un personaggio tragicomico. Un po’ Sancho Panza e un po’ uomo della strada. Un tipo apparentemente terra-terra, ma capace di slanci morali imprevedibili. Fisicamente ho pensato a un Giovanni Battista con i capelli da rastafariano.

Il titolo del romanzo cita Rafilina da Torrecuso che sembrerebbe la protagonista, mentre in realtà è il perno intorno a cui si muovono gli altri personaggi che sono i veri protagonisti della storia.  È una scelta voluta o solo un’impressione?

L’impressione è corretta. Rafilina non si svela mai completamente, apre bocca di rado e conserva sempre un mistero di fondo. In questo modo la trama del romanzo si sviluppa soprattutto a partire dalle interpretazioni e dai giudizi che su di lei ricadono, cioè dai pensieri contraddittori di chi le sta intorno. C’è chi la perseguita, chi la condanna a priori, chi cerca di inibirla, chi la vuole ingannare e chi, alla fine, prova ad accettarla così com’è.

L’uso di un linguaggio ricercato dà valore al romanzo. Cosa l’ha spinta a utilizzarlo e quanto è stato difficoltoso?

 Inizialmente, più per gioco che per altro, avevo pensato di far parlare i protagonisti del romanzo con l’italiano volgare del Duecento, quello dei poeti della scuola siciliana, per intenderci, inserendo qui e lì qualche termine dialettale napoletano. Temevo però l’effetto brancaleonesco. Allora mi sono risolto per una narrazione in italiano contemporaneo con poche forme espressive più vetuste e qualche arcaismo necessario per indicare concetti o termini precisi.

È stato impegnativo scrivere un romanzo storico? Ha richiesto un grande lavoro di ricerca?

Non posso dire che sia stato impegnativo, dato che l’ho fatto con piacere. Dal mio punto di vista, nel raccontare un’epoca lontana, la ricerca va intesa come una delle parti più stimolanti dell’intero processo di scrittura. E, almeno nel mio caso, non è mai stato un lavoro sistematico né scollegato dai fini del romanzo. Se sono andato a leggere determinati testi o registri del Duecento è stato per ottenere ispirazione o per risolvere dubbi che avrebbero potuto rallentare la mia scrittura. Ma anche per pura curiosità. Poi ovviamente, visto che mi piace l’idea di aderire alla realtà storica, mi sono complicato parecchio la vita per cercare di capire quanti abitanti potesse avere quel borgo nel 1272, quanto costasse il pane, come si chiamasse il vicario dell’abate di un feudo…

Come si è destreggiato tra verità storica e fantasia per scrivere questo romanzo?

La storia è già di per sé una ricostruzione che non può e non deve pretendere oggettività. Ogni volta che nella storia entra in gioco il dato sfuggente o il rapporto con la memoria, che è soggettiva, bisogna dar spazio alla fantasia. Nel romanzo l’immaginazione non deve tappare soltanto i buchi ma essere anche il vero fondamento che dà spazio all’uso del discorso storico. Quindi in Rafilina ho utilizzato la storia come limite di verosimiglianza per arginare le possibilità dell’invenzione e come sfondo credibile, con alcuni nomi, con le date, il contesto, in cui far muovere certi personaggi.

Infine ringraziandola per la disponibilità le pongo un’ultima classica domanda: quali sono i 5 libri che porterebbe con sé su un’isola deserta?

La genealogia della morale di Nietzsche, L’unico e le sue proprietà di Stirner, Viaggio al termine della notte di Céline, Le anime morte di Gogol’ e infine porterei un manuale su come costruire una zattera.

I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso: recensione

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *