Il libro dei Baltimore – Joel Dicker – La nave di Teseo

Il libro dei Baltimore. Sino al giorno della Tragedia, c’erano due famiglie Goldman. I Goldman di Baltimore e i Goldman di Montclair. Di quest’ultimo ramo fa parte Marcus Goldman, il protagonista di La verità sul caso Harry Quebert. I Goldman di Montclair, New Jersey, sono una famiglia della classe media e abitano in un piccolo appartamento. I Goldman di Baltimore, invece, sono una famiglia ricca e vivono in una bellissima casa nel quartiere residenziale di Oak Park. A loro, alla loro prosperità, alla loro felicità, Marcus ha guardato con ammirazione sin da piccolo, quando lui e i suoi cugini, Hillel e Woody, amavano di uno stesso e intenso amore Alexandra. Otto anni dopo una misteriosa tragedia, Marcus decide di raccontare la storia della sua famiglia: torna con la memoria alla vita e al destino dei Goldman di Baltimore, alle vacanze in Florida e negli Hamptons, ai gloriosi anni di scuola. Ma c’è qualcosa, nella sua ricostruzione, che gli sfugge. Vede scorrere gli anni, scolorire la patina scintillante dei Baltimore, incrinarsi l’amicizia che sembrava eterna con Woody, Hillel e Alexandra. Fino al giorno della Tragedia. E da quel giorno Marcus è ossessionato da una domanda: cosa è veramente accaduto ai Goldman di Baltimore? Qual è il loro inconfessabile segreto?

 

 

Recensione

Joel Dicker è uno scrittore che non consente troppi gradi intermedi di giudizio, in genere lo si ama o lo si odia.
Quelli che lo amano non dico vadano in giro col santino sul cruscotto modello “Dicker proteggimi” ma quasi.
Quanto ai detrattori più che altro fanno leva, come un mantra, sul suo  stile poco ricercato, quasi come se una scrittura troppo accessibile fosse equiparabile ad un reato penale.
Ad esempio tempo fa m’imbattei in una chiosa che recitava più o meno testualmente ” Scrive come una donzella del diciottesimo secolo”…che poi paradossalmente non vedo dove alberghi il misfatto, se solo pensiamo a come scrivono le donzelle (ed anche i fanciulli) del ventunesimo secolo davanti ad una del diciottesimo solo stima.
Ora che Dicker non sia Zola, voglio dire, ci arrivo pure io, ma l’impressione è che venga spesso sottostimato proprio perché troppo semplice da leggere.
In ogni caso a me Il libro dei Baltimore è piaciuto, ad esser sincero più de La verità sul caso Harry Quebert al quale peraltro una sfoltita di un duecento pagine non credo avrebbe fatto malissimo ma, insomma, non è questa la sede.
Dicker, presumo per una serie di congiunzioni astrali, altrimenti non saprei spiegarmelo, viene considerato un giallista, ma a parer mio ha dato il suo meglio in questo che è un romanzo di formazione.
E dopo poche pagine di lettura ero già pienamente coinvolto, beninteso avevo contezza di non avere fra le mani Il giovane Holden, ma non riuscivo comunque a staccarmi.
La trama per giunta è di una semplicità disarmante, si tratta come sappiamo di un prequel (ma anche un po’ spin off e una spruzzata di sequel) di Harry Quebert dove troviamo due famiglie ovvero i Goldman di Montclair e i Goldman di Baltimore.
I primi fanno parte della media borghesia del New Jersey e si caratterizzano per una certa tendenza alla parsimonia mentre i secondi conducono un’esistenza decisamente più agiata.
Marcus Goldman come ramo apparterrebbe ai Montclair ma si trova spesso a dimorare (come non comprenderlo) dai Baltimore lasciandosi ovviamente sedurre dalla loro ricchezza.
I Baltimore per giunta sono anche belli e professionalmente affermati, Saul il capofamiglia è un avvocato di grido a cui Perry Mason potrebbe al massimo spicciare casa, la moglie Anita è un valente medico, i due figli Hillel e Woody si distinguono rispettivamente nello studio e nello sport.
Marcus li in mezzo sembra un po’ Calimero ma non si perde d’animo, i Baltimore del resto non sono di quei ricchi che se la tirano anzi si dimostrano parecchio inclusivi tanto che Marcus in breve diventa culo e camicia (pappa e ciccia per i più puritani) con i due fratelli.
Tutto procederebbe magnificamente se non entrasse in scena Alexandra, (bellissima, destinata ad una brillante carriera di cantante e i tre non s’innamorassero contemporaneamente di lei), a quel punto la storia s’ingarbuglia e quel che segue lo scopriremo solo leggendo.
Le 600 pagine de Il libro dei Baltimore, bisogna riconoscerlo, volano e questo nonostante Dicker ogni tre per due invochi la cosiddetta tragedia che dai e dai arriva ma pure vaticinarla cinquanta volte mi sembra eccessivo.
Certo i detrattori di cui si diceva all’inizio grideranno a gran voce lettura d’intrattenimento ma in fondo, se vogliamo fare la punta alla matita, pure Dickens e Tolstoj intrattenevano, magari non offrivano il caffè ma è un po’ come la storia dei libri da ombrellone…insomma non c’è un precetto che vieti di leggere Philip Roth sotto l’ombrellone però nell’immaginario collettivo la location evoca maggiormente Moccia, Fabio Volo, col massimo rispetto ovviamente.
In definitiva direi consigliato un po’ a tutti, a meno che non si pretenda che un buon romanzo debba necessariamente presentare coefficienti di difficoltà degni dell’Ulisse di Joyce.
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