La doppia madre – Michel Bussi – E/O

 

La doppia madre. L’azione dell’inconsueto thriller si svolge a Le Havre, importante porto commerciale francese sulla costa della Manica: moli immensi, piramidi di container, dighe, bacini di compensazione, piroscafi, gru, e in mezzo a tutto questo le difficili condizioni di vita dei portuali, sempre più sostituiti da macchine, la disoccupazione, lo spettro della fame. È in questo contesto che, spinti dalla speranza di una vita migliore, quattro amici d’infanzia si mettono nelle mani di un balordo di professione per compiere la rapina del secolo. A occuparsi del caso è Marianne Augresse, quarantenne funzionaria di polizia con una passione sfegatata per i bambini, coadiuvata dallo psicologo per l’infanzia Vasil Dragonman. La sua inchiesta è una lotta contro il tempo per acciuffare il cervello della banda, che nella sua fuga si lascia dietro una scia di cadaveri, e recuperare la refurtiva. Ma chi è lo spietato killer? E dov’è finito il malloppo? L’unico a saperlo è il piccolo Malone, un bambino di tre anni che dialoga col suo peluche.

RECENSIONE

Quando leggo un romanzo di Bussi sono solito nutrire delle aspettative molto alte, La doppia madre non mi ha deluso ma lo sviluppo di alcuni personaggi e una storia che a livello di credibilità lascia parecchio perplessi si configurano come aspetti negativi che vanno comunque rilevati.
Bussi, alla pari di altri scrittori francesi, penso a Lemaitre ma anche a Thilliez, possiede una precisa prerogativa ed è quella di affiancare ad un impianto thriller un ambientazione, un evento storico, o più semplicemente un argomento collegato alla trama ma che procede, per cosi dire, di “motu proprio”.
In Usciti di Senna (traduzione del titolo sanguinosa a parte) c’era la manifestazione Armada di Rouen, in Ninfee nere provvedevano Monet e il giardino di Giverny a mantenerci beatamente sospesi, invece in questo La doppia madre recita un ruolo preponderante la psicologia infantile.
Ed è la parte migliore del romanzo anche perché il mistero si è pensato bene di svelarlo più o meno subito nella sinossi (che in tutta onestà suggerisco di fuggire come la peste).
L’intreccio è brillantemente costruito tuttavia l’architettura mi è sembrata poggiarsi troppo sul terreno estremamente argilloso dell’inverosimile o quantomeno dell’estremamente improbabile.
La storia del pupazzo poi, detto con grande sincerità, non si regge in piedi manco col deambulatore….ad un certo punto ho iniziato a temere davvero il peggio ovvero che comparisse come per incanto Rutger Hauer ed iniziasse a dissertare riguardo le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, ma questo non significa che la lettura del romanzo debba essere sconsigliata, il pupazzo è semplicemente un aspetto ma ce ne sono innumerevoli.
Alla fine della fiera un motivo valido per leggere Bussi esiste sempre.
Per quel che concerne i personaggi  almeno un paio non mi hanno entusiasmato, in primis quello della Comandante di polizia Marianne eccessivamente monotematica, sempre a metà strada fra la ricerca di un uomo in grado di regalarle le gioie della maternità alle soglie dei quarant’anni e l’impegno profuso nelle indagini in cui puntualmente “toppa” proprio perché la testa sembra navigare in altre direzioni…che sia un collega, un sospettato, un conoscente o un semplice passante lei li vede tutti come potenziali partner, anche solo occasionali, e la cosa dopo qualche capitolo inizia francamente a diventare stucchevole.
Il secondo personaggio dinanzi al quale ho decisamente titubato è stato lo psicologo infantile Vasil, non il massimo dell’empatia, a tratti un po’ spocchioso, consapevole di aver un discreto successo fra il pubblico femminile se ne approfitta, ed a un certo punto a parer mio deve essere andato sulle scatole allo stesso Bussi tant’è che ha deciso di liquidarlo senza troppe spiegazioni, così d’emblée.
Notevoli invece, almeno questa è la mia impressione, entrambe le madri, tutte le loro azioni, anche quelle apparentemente pleonastiche, mi sono parse perfettamente correlate all’amore di una donna per il proprio figlio (o almeno per quello che sente essere il proprio figlio), ma Bussi, quando ci si mette di buzzo buono, per le caratterizzazioni occorre lasciarlo perdere.
Cosa aggiungere ancora, lettura consigliabile?
Bussi per me è sempre ampiamente consigliabile, innanzitutto i suoi romanzi iniziano e finiscono il che al giorno d’oggi lo rende (e non solo nel panorama thriller) un’autentica mosca bianca.
Chi legge può dedicarsi a dipanare la matassa (o almeno provarci perché l’impresa è tutt’altro che agevole) senza il timore (che a volte si trasforma in terrore) di arrivare alla fine ed imbattersi nella classica conclusione che non conclude nulla… davvero comincio ad accusare una sorta di ansia da logoramento causata dal Commissario Tuzzabanchi Nicola di turno che nell’epilogo di un ipotetico romanzo viene crivellato con poderose scariche di Kalashnikov di ultima generazione e poi magari ce lo vediamo restituito bello pimpante nell’episodio successivo in quanto i 72 proiettili da cui è stato raggiunto non hanno fortunatamente leso alcun organo vitale.
Con Bussi simili esiti possiamo escluderli categoricamente, peraltro ho trovato il finale della doppia madre se non buono quantomeno onesto ma è chiaro che qui entriamo in una sfera talmente soggettiva che vale tutto e il suo contrario.
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