Alta fedeltà – Nick Hornby – Guanda

Alta fedeltà. In una Londra irrequieta e vibrante, le avventure, gli amori, la passione per la musica, i sogni e le disillusioni di una generazione di trentenni piena di voglia di vivere. Commovente, scanzonato, amaro ma soprattutto molto divertente, Alta fedeltà è il libro culto della narrativa inglese, diventato un grande successo internazionale.

RECENSIONE

Non bisognerebbe mai rileggere, forse, e soprattutto dopo molti anni.
È già difficile che si realizzi una volta quella magia che ti porta ad idealizzare un romanzo, a volerne rinverdire la memoria a tal punto che pure a distanza di anni se ne parli ti ritrovi a dire  “Alta fedeltà di Nick Hornby mi ha cambiato la vita”.
Ma non è vero, e se realmente un romanzo può cambiare la vita certo non è Alta fedeltà.
Letto oltre venti anni fa, la narrativa allora la seguivo meno mentre la musica era di gran lunga il mio interesse principale.
E Alta fedeltà parlava praticamente solo di musica, si c’era una storia sentimentale come tante ma il centro dell’universo era il negozio di dischi di Rob Fleming, gli LP, le musicassette registrate, i CD ancora in fase di espansione, i commessi musicisti poco tolleranti verso i clienti indecisi o poco esperti.
Un appassionato di musica che non avesse mai letto Alta fedeltà era non dico una mosca bianca ma quasi, e per anni le liste di cinque imperversarono entrando a far parte del linguaggio comune… personalmente ricordo cinquine altamente improbabili, dai cinque migliori condimenti per l’amatriciana (o era la carbonara?) ai cinque più grandi playmaker della storia del basket alti oltre due metri (ovviamente Magic Johnson vinceva a mani basse, il problema semmai era trovarne altri quattro).
Riletto oggi ne esco abbastanza deluso, un cult che mostra un po’ il peso dei suoi anni e non soltanto perché i negozi di dischi sostanzialmente non esistono più a parte piccole realtà specializzate soprattutto nell’usato, dove una modestissima percentuale di dinosauri come il sottoscritto, intenta pervicacemente a sopravvivere ad un meteorite denominato musica liquida, vi si reca periodicamente portando a casa CD che hanno vissuto giornate migliori, LP di artisti non di rado passati a miglior vita, memorabilia musicali da mostrare ai nipoti tanto per dire io c’ero…il tutto in un’atmosfera di mestizia più sconfinata della Patagonia.
Il problema è che Alta fedeltà, dal mio personale punto di vista sia chiaro, sta invecchiando male non come romanzo, che racconta le perenni afflizioni di un uomo che fondamentalmente aveva due sogni nella vita ovvero lavorare nella musica e fuggire come la peste le relazioni stabili ed ora si lamenta che la musica non tira più come una volta e la sua compagna lo ha mollato, ma come cult di riferimento per gli appassionati musicali.
Se mi volto indietro e guardo il me stesso di vent’anni fa, la musica citata da Hornby che conoscevo e amavo continuo ad amarla, quella che invece ignoravo beatamente ora la conosco e devo ammettere che nella stragrande maggioranza dei casi mi fa venire il reflusso.
In sostanza ho mitizzato e raccomandato per oltre vent’anni (con frasi del tipo ” leggetelo e vi si aprirà un mondo”) uno che ha gusti musicali agli antipodi dei miei, e pure riguardo ai libri non è che andiamo meglio, riconosco tuttavia che tre dei suoi cinque migliori film americani appartengono anche a me…certo è pochino ma almeno non c’è rischio che si vada a prendere un caffè insieme.
Alla fine della fiera la morale, terapeutica, della rilettura è che d’ora in avanti non consiglierò mai più a nessuno Hornby e men che meno Alta fedeltà, d’altronde, come ebbe a spiegarmi un amico tanti anni fa, chi inserisce i Genesis fra le cinque band da fucilare in caso di rivoluzione musicale è potenzialmente in grado di compiere qualunque misfatto.

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